Il progresso. Siamo cresciuti negli anni 1960 con questo mito: auto, elettrodomestici, televisione, farmaci, aerei e missili. A dire il vero, qualcuno si poneva già allora quesiti e avanzava distinguo. L’inglese C.P. Snow già nel 1959 (“The Two Culture”) evidenziava il potenziale scontro di culture tra umanesimo e tecnologia, Marcuse nel 1964 scrisse il celebre “L’uomo a una dimensione”, un altro dei libri di cui tutti parlano e che nessuno ha letto: l’alienazione prodotta dal lavoro seriale di catena, dal consumismo, dal potere. Agli inizi degli anni 70 si accese un’ormai sbiadita diatriba tra progresso e sviluppo (Club di Roma, “I limiti dello sviluppo”) e sulla liberazione dalla cultura borghese ed elitaria (Ivan Illich, “Descolarizzare la Società”). Oggi nemmeno si ricorda più se erano il progresso buono e lo sviluppo no buono, o viceversa.
Il progresso si basava su alcune certezze: lo Stato voleva che tutti progredissero, le banche dovevano supportare l’economia, la televisione doveva insegnare a scrivere e contribuire all’essere buoni cittadini, era meglio dare retta al papa e agli USA e i comunisti dovevano fare un po’ di baldoria per i diritti degli operai ma al potere non dovevano andarci perché avrebbero ucciso il libero mercato. C’erano dei corollari: per esempio, se avevi avviato un’attività imprenditoriale o professionale, il progresso ti avrebbe tenuto a galla e avresti solo migliorato con il tempo. Se davi delle regole alla tua vita e alla tua famiglia non ti saresti mai trovato male: il risparmio, le banche ti regalavano l’agenda per tenere le spese, entrate e uscite, le cassettine di ferro per i bambini che ci mettevano le monetine invece di spenderle in gelati e figurine.
In qualche decennio, come mostreremo o direttamente o implicitamente, tutto questo è finito e va bene, può essere parte dell’evoluzione umana. Ma il tracollo degli ultimi venti anni è difficilmente classificabile come naturale evoluzione. Di naturale non c’è stato nulla, men che meno lo strano virus che ha fermato e dirottato un intero pianeta.
Il dopopranzo dell’11 settembre 2001 credo che in molti se lo ricordino: dov’erano, con chi erano, in che postura si trovavano quando la prima torre venne giù come un castello di carte. Per la prima volta sentimmo risuonare il monito millenaristico: nulla sarà più come prima, poi diventerà un ritornello. Dopo qualche settimana era tutto come prima ma due cose si affacciarono alla ribalta: la prima, che nessuno doveva al mondo una ricostruzione puntuale dell’accaduto (lasciando il campo a Michael Moore per spiegare nel suo film anni più tardi scene e retroscene); la seconda, che su quegli accadimenti l’amministrazione Bush Jr. costruì il Patriot Act, che scattò un mese e mezzo dopo e quindi era probabilmente già pronto. Molte di quelle prescrizioni che ampliavano i poteri di CIA, FBI e National Security Agency, presentate dal De. Sensenbrenner il 23 ottobre e approvate il 26, neanche un compromesso di monolocale si fa in quei tempi, a riprova che erano limitative di diritti civili, privacy, dissenso, vennero sentenziate dalle Corti, come New York nel 2007, che considerò incostituzionali intercettazioni, impronte digitali e quant’altro fatti senza il decreto del magistrato. Anche la caduta del segreto bancario contribuì a una fuga dal dollaro verso il neonato euro.
L’euro, già. Debuttato a gennaio 2002, esordisce coprendo un’inflazione a macchia di leopardo che in non pochi casi diventa mille lire un euro. Fa una prima vittima (a parte i consumatori) nell’ISTAT che si ostina a parlare di inflazione al 2.9%. Allora, il soccorso di Pisa conia un concetto ardito: l’inflazione percepita, come la temperatura quando c’è vento. Ma per raffreddare le surriscaldate economie europee e iniziare a mostrare che ora le banche centrali non contavano più, Francoforte alza i tassi. Torniamo così a sperimentare la stag-flazione, vecchio ricordo dei tempi di Guido Carli ed Emilio Colombo: a una brusca recessione seguita alla bolla speculativa TMT (telecom, media, technology) si unisce l’aumento dei prezzi e del costo del denaro. Chi aveva il mutuo variabile comincia a piangere e trova accoglienza nei programmi di Michele Santoro al giovedì. Poi, come diceva Andreotti, in Italia tutto si aggiusta. Ma il nuovo mondo globale non consente aggiustamenti, solo dilazioni e le dilazioni portano interessi, si sa. La gente però forse per la prima volta capisce che fino all’ultima rata di mutuo la casa non è tua, è della Banca. Cade il mito dell’italiano risparmiatore: la casa non è più un bene rifugio che si rivaluta, è un investimento che segue le altalene del mercato. Seguiranno una quindicina di anni di valori immobiliari a picco.
La Banca comincia a diventare un oggetto di sospetto e timore. Basilea 2, restrizioni di credito, prevalere del guadagno finanziario sul sostegno dell’economia produttiva. Fassino che dice “Abbiamo una banca” e leva 10 punti di vantaggio nei sondaggi a Prodi. Berlusconi è perso nelle nebbie dei suoi processi e di quello che Bossi, da crudo lombardo, definì il “vizio del pantalone”. Pagherà cara, nel 2011, questa disattenzione ai conti europei, procrastinando il pareggio di bilancio (follemente messo in Costituzione) al 2013 e attirandosi la famosa lettera UE del 5 Agosto, detta Trichet-Draghi, relata refero. O riformate o, ehm, non compriamo titoli.
Nel 2009, il declassamento del debito greco a spazzatura aveva aperto la stagione degli attacchi ai debiti sovrani. Noi non siamo la Grecia, abbiamo l’industria. Avevamo. Ci si aspettava che l’attacco successivo andasse a Portogallo, Spagna, Irlanda e invece saltarono direttamente su di noi, che avevamo l’industria. Il piano pro-Grecia salvò ancora una volta le banche tedesche e francesi. L’aspettativa di vita in Grecia calò i per i tagli, ante-pandemia.
Torniamo attorno al 2008. Erano già divenuti maturi i tempi per la crisi-subprime. Molti professoroni sapranno dire il come e il cosa, moltissimi non sanno neanche di che si sta parlando. Semplicemente, un esempio di teoria del caos: un messicano entra clandestinamente in USA e un operaio italiano perde il posto. Al messicano danno una carta revolving con cui paga rate di un mutuo a interessi negativi perché può anche fare altri debiti, alla lunga perde la casa ma intanto quei crediti inesigibili, cartolarizzati in titoli tossici, impestano l’Europa tramite le banche che se li erano presi. La fabbrica indebitata chiude e l’operaio va a casa. Un altro colpo per il sistema bancario.
Per la prima volta si capisce il legame tra finanza ed economia. Qualcuno approfitta per fare quella delocalizzazione in Vietnam o Moldavia che sognava da anni. Il tempo di tirare un attimo il fiato e per fare saltare Berlusconi, che per motivi populistici non poteva salvare le banche a scapito dei contribuenti, nonostante fosse figlio di un bancario: viene inventato di sana pianta lo spread. A dire il vero c’era, era una misurazione tecnica di quanto ci si doveva scostare dai tassi attivi tedeschi nel piazzare BOT e BTP. Una cosa che poteva interessare la signora Maria Cannata del debito pubblico al Ministero, non la sciura Maria Brambilla del Corvetto. Stava tra 100 e 140, riesce ad arrivare quasi a 600 e si chiama l’uomo del destino, Monti. Che tassa tutto, fa alzare a una sconosciuta professoressa moglie di professore l’età pensionabile (in Francia stanno scassando tutto in istrada, da noi neanche un amen), mette persino alla Presidenza RAI una banchiera, la seria signora Tarantola. Vengono messe al sicuro le banche tedesche e francesi, viene salvato il Monte Paschi da sempre cassaforte comunista e post. Non David Rossi, che vola dalla finestra dieci anni fa giorno più giorno meno, e nulla ne sappiamo. Siamo diventati un paese in cui l’omertà è una questione tecnico-giuridica.
Ora però siamo a un punto della storia su cui dobbiamo rallentare e ponderare. Le cose si fanno veramente strane: alle elezioni del 2013 nessuno si aspettava che il MoVimento 5 stelle, invece di fermarsi a un 15, sfiorasse il 30%. “Elezioni-choc. Non c’è maggioranza”, titola allarmato il Corsera. Questo risultato apre una voragine che brutalmente allargata alle elezioni del 2018 condiziona oggi e continuerà a condizionare la vita del Paese per anni e anni. Uno vale uno, al potere impresentabili ectoplasmi di asineria scolastica, fine del congiuntivo, della geografia, del timbrare un cartellino per lavorare. Questi signori hanno gestito una pandemia da 200,000 morti. Ma andiamo con ordine, e comunque non è tutta colpa loro.
Incredibilmente, il PD rinuncia nel 2013 a guidare un governo di larghe intese: tutti ricordano Bersani schiacciato dai delegati 5 stelle nello streaming delle consultazioni. Poi, per la prima volta dalla notte dei tempi costituzionali, non si riesce a eleggere un nuovo Presidente della Repubblica: per prendere tempo, viene formata un’incredibile commissione di saggi. Qualcuno impallina Marini e poi Prodi. Alla fine Napolitano accetta di continuare, scudiscia il Parlamento per questa débâcle, e tutti applaudono. Nelle nebbie più fitte spunta il Rottamatore, liquida la tentennante dirigenza, e a riprova di quanta fame vi fosse di riforme e leadership issa il PD fin quasi al 40% alle europee 2014. Non sarà vera gloria, in questa baraonda semianarchica degli anni 10 del secolo. Renzi si inimica magistratura, scuola, fa un patto segreto (a tutt’oggi) con Berlusconi ormai braccato dalle toghe, accentra l’accoglienza dei migranti sperando di avere contropartite in Europa. Quelli prendono nota e da allora i migranti sono tutti e solo nostri. E quale apporto arrechino a quel famoso “progresso” è sotto gli occhi di tutti, poi ognuno la veda come vuole, per carità. Appunto, per Carità. Poi Il Rott perde il referendum contro Zagrebelsky, mica la Ferragni, ma lo rivedremo.
La sequenza degli eventi credo mostri chiaramente come finì il progresso. Scelga ognuno il momento, l’evento da commemorare in lutto sul calendario. Gli ultimi anni rientrano ormai nelle conseguenze, non più nelle cause. La Lega arriva a sfiorare il 40% (sempre a queste cavolo di elezioni europee …), Salvini pensa di andare a votare e invece lo giocano Renzi (che gioca anche l’innocente Zingaretti) e Di Maio. Per capire in quale guazzabuglio ci troviamo, il giorno dopo che il governo è fatto Renzi esce dal PD e si fa un partito suo. Neanche stavolta si riesce a fare un Presidente della Repubblica e così Mattarella ripete, stavolta però con pieno mandato, non come interim Napolitano-like. Viene burlato anche Draghi, che accetta di tirare l’Italia fuori dal Covid e rimandare gli statali in ufficio aspettandosi il Quirinale. La pandemia l’hanno gestita gli scappati di casa e Giuseppe Conte che tutto sommato era il meno peggio. Ci hanno raccontato tutto e il contrario di tutto. Aperto, chiuso, parenti, colori, vaccini, green pass. E c’è ancora gente che pensa che sia valsa la pena affondare del 12% l’economia, mandare il debito su PIL al 180%. E qualcuno spera di avere per i figli disoccupati l’UE Next Gen ribattezzato PNRR, che è il suono che temo ci farà l’Europa se non spendiamo per le tecnologie tedesche e non mettiamo i cappotti termici. La maggioranza non crede più a nulla.
Poca personalità. Mandiamo in Europa gente che si fa mettere nel sacco dagli ex McKinsey, come quell’olandese che ha affondato i nostri proposti coronabond. Quando De Gasperi andò a Parigi dai vincitori nel 1946, aveva meno carte da giocare che Gualtieri o Lamorgese, eppure gli hanno creduto e siamo risorti. Oggi rischiamo di essere salvati solo come mercato (dategli i soldi se no non ci comprano nulla, disse più o meno la Merkel). L’Europa, canzonata per le sue stramberie burocratiche, è un vincolo per gas, green, migranti, alimentare. Non uno scherzo. E stiamo dentro perché “se no sarebbe peggio”, bella soddisfazione, quella del due di coppe o del cornuto che se si ribella finisce alla Caritas. A ognuno puzza questo barbaro dominio, così concludeva Machiavelli. La pianti con i TikTok, un po’ di serietà, italiano.