Non c’è solo un’analogia logica nella interpretazione che Giuseppe Bodi ha fatto su Giano degli effetti di due fenomeni individuali e collettivi: la religione ed il tifo sportivo. Richiamando per la prima la definizione di Karl Marx che la accostò alle note proprietà dell’oppio e definendo il secondo “vero e proprio stupefacente tra i più potenti” quando la sua pratica è tanto sfrenata da “offuscare la capacità di pensare”.
Quindi non sempre, ma sempre con buon vantaggio per i governanti i quali mai saranno tanto grati al giubilo del tifo sportivo quanto esso, comunque e seppur ordinariamente per brevi tempi, concede a loro “tregua” di momentanea disattenzione degli amministrati rispetto ai loro doveri di provvedere.
“Lasciamoli sfogare – prova ad interpretare Bodi il loro atteggiamento – così non pensano a come son ridotti”.
Niente di nuovo rispetto a quando già i consoli romani ottenevano il consenso della plebe con la distribuzione gratuita di grano e, in contemporanea, con l’organizzazione di competizioni anche cruente, come le lotte dei gladiatori o le corse dei carri nel circo.
Panem, appunto, et circenses, la locuzione latina con cui questi fenomeni produttivi di alienazione popolare venivano definiti al Foro e al Colosseo.
E la lingua latina, tornata di moda con papa Leone XIV – che, peraltro, ha anche provveduto al panem per i suoi sudditi vaticani, il ripristinato bonus di cinquecento euro per festeggiare la sua elezione – sta bene per conferire anche al tifo sportivo, quello calcistico in particolare, un carattere in qualche modo escatologico come la religione considerata da Karl Marx.
Antonio Ghirelli – il famoso capo ufficio stampa di Sandro Pertini, cui fu accanto allo stadio Bernabéu quando l’Italia vinse la mitica coppa del Mundial 1982 – racconta che “i Berberi dell’Africa del nord chiamavano koura un gioco di palla che si traduceva appunto in un rito propiziatorio”. La palla che, non a caso, era “foggiata a imitazione del disco solare”. Insomma, conclude Ghirelli “una “specie di suggerimento religioso”.
Centinaia d’anni prima della nostra era, si giocava a pallone in Giappone e pure in Cina, dove la sfera “secondo i leggiadri costumi del Celeste Impero era riempita di capelli femminili”.
I legionari facevano campionati a squadre di arpasto, che consisteva nello strapparsi la palla tra contendenti e, dicono, che Giulio Cesare oltre che giocatore era anche scommettitore e “una volta vinse 50 talenti in disputa con Cecilio”.
Medioevo e Controriforma preferirono e favorirono l’alienazione da metafisica, rispetto al culto fisico degli atleti in corsa verso una palla. Poi, però, i papi del Rinascimento rilanciarono questo sport e Firenze ne divenne la rinnovata culla e palestra.
Nel vocabolario della Crusca, stampato nel ‘600 a Venezia, è scritto:
“E’ calcio anche nome di gioco, proprio e antico della città di Firenze, a guisa di battaglia ordinata con una palla a vento, somigliante alla sferomachia passata dai Greci ai latini e dai Latini a noi”.
Con tutto il tifo conseguente e le violenze che già allora i pubblici poteri si trovarono a combattere, arrivando a editti con cui si disponeva la “prohibizione sopra il gioco del calzo per provvedere a risse, scandoli et inimicitie”.
Nihil sub sole novi, e, per noi baby boomer con ancora in memoria La partita di pallone di Rita Pavone: viva comunque il tifo e anche la religione, specie ora che c’è un papa che fa pure il tifoso, peraltro universale. Non solo tennis e calcio e oltre alla Roma di casa altre squadre dell…altro mondo, da Chicago a Chiclayo.
Baby boomer e, per questo, un po’ anzianotti ormai. Perciò, ben consapevoli che, come ha detto martedì 27 Leone XIV ai tifosi del Napoli di nuovo “scudettato”, lo sport è anche business e, come tale, strada aperta per un altro tipo di alienazione ugualmente metafisica. Quella del denaro, se antiche correnti di pensiero lo definiscono “sterco del demonio”.