Negli storici programmi radiotelevisivi d’oltreoceano come “Queen for a day” veniva data la possibilità di comandare e disporre illimitatamente quasi le vincitrici fossero davvero “regina per un giorno”.
Le “primedonne” nostrane, quelle della politica, sono ossessionate dall’irrefrenabile desiderio di istituire e governare un Servizio Segreto che abbia poteri indefiniti sulla più delicata sfera del nostro vivere quotidiano: il sapere tutto di tutti, il conseguente controllare costantemente l’ “aria che tira”, l’aver modo di classificare chi-cosa-come, l’influire con il “io-so-che-tu-sai-che-io-so”.
Le informazioni personali – da tempo oggetto di cannibalizzazione da parte delle generose aziende che erogano “gratuitamente” servizi, piattaforme e social – sono il petrolio del futuro (ma anche degli anni appena trascorsi) e al tempo stesso il siero per sedare o uccidere chi disturba o intralcia i propositi di chi teme lo scippo del timone cui è aggrappato.
Viscerale interesse alla cybersecurity? Forse no. Se così fosse, probabilmente la materia non sarebbe finita in pasto a mille gruppi di lavoro e task force ufficiali e non. Qualcuno si sarebbe reso conto che – trattandosi di guerra – era inderogabile la creazione di un “Cyber Command” sul modello statunitense e soprattutto un rigoroso piano di formazione specialistica per i “soldati” destinati ad essere impiegati sul fronte digitale. Studiare e approfondire, però, non sembrano avere alcuna priorità rispetto le urgenze di farsi appioppare materiali e strumenti da questo o quel fornitore o di farsi consigliare da una rinomata realtà internazionale di consulenza anche se di queste cose ne ha solo sentito parlare.
La genesi di una Agenzia, di un Servizio o di qualunque altra kafkiana entità è sempre stato in vetta ai pensieri del governante di turno.
Il primo a manifestare spasmodiche velleità in quest’ambito non è stato Conte, ma Matteo Renzi. Chi bazzica quei contesti non solo per passatempo ricorda nitidamente lo sforzo titanico del leader toscano che a più riprese ha cercato di piazzare il suo amico Marco Carrai, indiscusso imprenditore ma difficilmente identificabile come radicato esperto di “cyberwar” e di relativi argomenti a contorno.
Ora ci riprova con eguale insistenza Giuseppe Conte, prima con l’Istituto Italiano di Cybersecurity e ora con l’Agenzia. Cambiano i nomi, Vecchione o chi per lui al posto cui ambiva il tandem Renzi/Carrai, ma la sostanza rimane la stessa.
La chiave di volta è la visione feudale dell’intero scenario.
L’obiettivo è piazzare una persona di fiducia ma soprattutto destinata ad essere riconoscente. Se un problema resta, poco importa e la pletora di task force che non hanno centrato il risultato ne è l’inequivocabile comprova. Tutti i “prescelti”, però, potranno menzionare nel loro curriculum l’aver (non) fatto qualcosa, nessuno ricorderà che la palla non è finita in rete e al prossimo “giro” avranno un titolo da vantare…
La cosa che più colpisce il quisque de populo è lo stanziamento miliardario, ma l’uomo della strada non percepisce quel che sta per accadere.
Rimane granitica la fragilità del sistema nervoso virtuale del nostro Paese che i soldi (di cui è noto il non comprare la felicità, ma la possibilità di contribuirvi…) non riusciranno ad irrobustire in assenza di un vero, sottolineo “un vero”, progetto globale in grado di bonificare l’acquitrino in cui l’Italia staziona da tempo.
L’Agenzia, la Fondazione o quel che sarà, avrà capacità di influenzare le strategie e le scelte in materia di protezione cibernetica. Sarà quella struttura a dire chi può fornire e chi può consigliare, indirizzando in maniera vincolante massicci investimenti pubblici e privati che improvvisamente si profileranno urgenti e inderogabili.
L’emanazione di “leggi speciali” (cui stiamo facendo, poco alla volta, l’abitudine grazie al processo di mitridatizzazione dei DPCM) ucciderà quel poco di democrazia che ci è rimasto, calpesterà per “superiori interessi” la riservatezza dei dati personali, incentiverà la clonazione delle dinamiche di profilazione commerciale per soddisfare le esigenze di “controllo della situazione”, attribuirà “super poteri” e proporzionali immunità ai funzionari (magari scelti su base fiduciaria) che lavoreranno nel potenziale nuovo Servizio Segreto.
Mentre Conte e Renzi litigano, nessuno si accorge che il duello è incentrato sul medesimo traguardo e che a farne le spese potrebbe essere la già moribonda libertà dei cittadini.