“Qui la cosa si ingarbuglia, si ingarbuglia sai perché? …” si e ti chiedeva quando ero più giovane il ritornello di una canzone famosa.
È la medesima domanda che possiamo porci oggi pensando al Niger, fino a ieri parte della Comunità francofona africana, paese di povertà estrema ma come spesso succede in Africa ricco di potenziali risorse e, grazie alla sua posizione al centro del Sahel, vera e propria placca tornante di buona parte dei movimenti migratori del continente.
Inoltre, la sua ricchezza in Uranio (ricordate il “Nigergate” allorché chi desiderava la guerra con l’Iraq mentiva sulle presunte armi atomiche di Saddam Hussein?) ne fa il principale fornitore di combustibile nucleare della Francia che ne dipende non soltanto per il rifornimento della sua force de frappe – l’unica rimasta alla UE dopo la Brexit – ma anche per quello delle sue numerose centrali elettriche.
Indirettamente poi sono molti altri i paesi europei coinvolti da questa dipendenza, considerato come Parigi non produca corrente soltanto per sé ma la esporti altresì a caro prezzo nei paesi confinanti.
L’Italia, per esempio, dipende per il 5 % del suo fabbisogno dalle importazioni francesi. A prima vista non si tratta di una percentuale elevata ma occorre considerare quanto possa risultare lungo il processo per sostituirla. Inoltre, essa alimenta le nostre regioni maggiormente industrializzate e questo ci dice come potrebbe risultare dolorosa la sua perdita.
Volenti o nolenti dipendiamo quindi anche noi dall’uranio del Niger, come del resto – cosa di cui ci siamo resi conto da parecchio tempo – noi dipendiamo da quel paese anche per l’eventuale successo nel tentare di ridurre i flussi migratori verso il Mediterraneo provenienti soprattutto dall’area del Golfo di Guinea.
La duplice dipendenza ci ha indotto tra l’altro a stanziare da qualche tempo in Niger un contingente di circa 300 uomini con compiti essenzialmente addestrativi. Nel posizionarlo ci siamo tra l’altro scontrati con la miope politica francese che guarda a tutta l’Africa francofona come ad una sua esclusiva riserva di caccia.
Abbiamo finito così col rinunciare ad ogni ipotesi di concordata cooperazione, preferendo alla dipendenza dai transalpini, che Parigi pretendeva, una più tranquilla convivenza a livello paritario con un massiccio contingente americano (1300 uomini) che conduce azioni di controterrorismo nel paese.
Un paese che in questo momento è tutt’altro che tranquillo, considerato come qualche giorno fa un colpo di stato militare, il cui successo rimane sino ad ora parziale, abbia rovesciato un governo democraticamente eletto mentre i rivoltosi procedevano all’arresto del Presidente.
Tutto questo nel quadro di una tendenza che si va purtroppo accentuando e che vede i paesi un tempo membri dell’Africa francofona, illusi per troppi anni dalle promesse di benessere e sicurezza che la Francia ha fatto senza esitazione e senza essere poi in grado di rispettarle, non accontentarsi più di parole e passare a vie di fatto.
Gli ultimi dieci anni, caratterizzati da una permanete guerriglia a base di fondamentalismo islamico sono stati così particolarmente duri per tutta l’area sahelica che ora, nel quadro di un processo di domino che purtroppo non si sa dove potrà portare, abbandona progressivamente una Comunità francofona che non offre più speranza per cercare altrove, ed in particolare in direzione di Russia e Cina, nuovi sostegni.
È quanto hanno fatto prima la Repubblica Centroafricana, poi il Mali, e la nuova giunta del Niger sembra volerne seguire l’esempio. Nella difficoltà di agire della Francia e nell’imbarazzo di una Europa che inizia a percepire quale sia in realtà il livello di colpa e di rischio che le deriva dal fatto di aver lasciato l’Africa sola per troppo tempo, l’ultima speranza di contenere i rivoltosi consiste in un contro intervento deciso di recente dall’ECOWAS, l’Organizzazione dei Paesi dell’Africa Occidentale guidata dalla Nigeria che segue con estrema preoccupazione il passaggio di troppi dei paesi locali dalla democrazia a dittature militari di varia durezza.
Oltretutto dietro ai rivoltosi si affaccia in questo periodo l’ombra della parte peggiore della Russia, quella Agenzia Mercenaria Wagner che è già massicciamente presente tanto in Mali quanto in Repubblica Centroafricana, proprio alle frontiere del Niger.
Uno scontro armato non è mai auspicabile.
Oltretutto poi i soldati nigeriani, che costituirebbero il grosso di una eventuale forza di intervento ECOWAS integrata anche da Senegal e da Costa d’Avorio, godono di una ben meritata fama di brutalità, una brutalità che viene ancora accettata in Africa ma che in Europa non è più nemmeno concepibile.
La sproporzione di forze fra le due parti (la Nigeria da sola ha forze armate dieci volte più grandi di quelle del Niger) dovrebbe però riuscire a convincere i rivoltosi a rientrare nelle loro caserme. Oltretutto, la forza ECOWAS potrebbe anche ricevere dalla missione francese di più di mille uomini presente ancora nel paese tutto quell’appoggio tecnico di cui normalmente i reparti africani non dispongono. Una ipotesi che la Ministra della Difesa Francese non ha assolutamente escluso nel corso di sue recenti interviste.
In ogni caso comunque c’è da sperare che non si scivoli nell’impiego di mezzi estremi, cosa che porterebbe rapidamente il Sahel a divenire un altro ennesimo teatro dello scontro per proxi fra un Occidente schierato con le democrazie ed un Oriente che preferisce altre forme di governo.
Ma soprattutto ciò che è divenuto chiaro è come a questo punto perché Europa ed Africa possano procedere insieme in maniera fattiva occorra riconquistare la mente ed il cuore di popolazioni che da noi, ed in questo caso particolarmente dalla Francia, ricevono da troppi anni soltanto promesse.
Un piano Marshall per l’Africa?
Se ne è parlato tanto ma non si è fatto niente ed al Continente Nero sono andate soltanto, come si dice a Napoli “chiacchiere e tabacchiere di legno!”
Vogliamo muoverci una buona volta prima che sia troppo tardi?