Mentre è scontato quel che sta accadendo adesso, non riesco proprio a capacitarmi di quanto è successo sabato. Ne ho parlato a lungo con Roberto Di Nunzio con cui nel 2001 ho pubblicato per Rizzoli “Le nuove guerre”.
La rabbia e la disperazione nell’assistere ad un simile scempio porta a riflettere e ad urlare un “perché?” che non riesce ad uscire dalla gola. Perché una barbarie simile? E, soprattutto, perché nessuno sapeva, ipotizzava, immaginava?
La questione è troppo seria per discuterne con chi salta da un talk show all’altro non sapendo distinguere il Risiko dal Subbuteo e quindi è meglio spegnere la televisione, ammutolire la radio, lasciare i giornali in edicola e rifuggire da Internet, fermarsi e pensare.
La situazione è talmente drammatica da aver paura di non fare nemmeno in tempo a finire il discorso e quindi le dita scorrono veloci sulla tastiera per annotare quelle quattro chiacchiere perché non vadano perdute.
L’azione mandata a segno da Hamas non è mai stata scritta su nessun manuale. Se fosse musica non ha spartito e sarebbe la più incredibile improvvisazione che nemmeno Mozart avrebbe saputo partorire. Una jam-session frutto di un addestramento puntiglioso, testimoniato da video disseminati online quasi a dire “guardate come si fa!”.
Quel che fa dannare è che sono sempre gli stracci a finire per aria e immancabilmente il prezzo più alto tocca in sorte alla povera gente colpevole solo di vivere o trovarsi per caso nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Il sangue correrà a fiumi, dissetando le bramosie di chi vende armi, di chi si appassiona a veder corpi dilaniati, di chi parla di conflitti armati con la stessa naturalezza con cui si discute di calcio o di ricette culinarie.
L’asimmetricità del conflitto è evidente. Una forza ostile senza un territorio (non
si commetta l’errore madornale di credere che sia la Palestina ad aver agito) muove con estrema serenità, perché sa perfettamente che nessuno potrà mai restituire “la pariglia”. Chi ha attaccato lo ha fatto nella consapevolezza che Benjamin Netanyahu avrebbe raso al suolo Gaza e lo ha ritenuto un non-problema, perché Gaza non è casa sua, perché a Gaza ha solo rastrellato un po’ di imbecilli che a volto scoperto hanno fatto le comparse su un palcoscenico dove era in atto una sceneggiatura scritta altrove con una regia internazionale.
Il premier israeliano si chieda chi lo ha tradito, si domandi come mai lo ha fatto, cerchi di capire dove si è sbagliato e non si limiti a considerare gli eventi delle ultime ore. Si interroghi perché le segnalazioni dell’intelligence egiziana sono finite nel cestino o semplicemente non prese in considerazione nonostante presagissero una aggressione epocale…
La fulmineità e la sincronizzazione dei colpi mandati a segno non evocano i principi bellici del cosiddetto “Blitzkrieg” ma piuttosto ricordano Mike Tyson, capace di mandare k.o. l’avversario quando il gong appena percosso vibra ancora.
La crudeltà di colpire bambini, donne e anziani arriva al suo culmine con il rapimento degli ostaggi, che perpetua non solo simbolicamente il rituale della deportazione di innocenti.
Non guerra, o non solo quella. Non semplice terrorismo. Siamo dinanzi ad una replica delle gesta naziste, con le case in fiamme, i civili straziati, i prigionieri senza speranza di tornare.
Non un suicidio della gente palestinese che adesso sta subendo la feroce rappresaglia., ma l’azione di chi non ha nulla da perdere perché le pedine in campo non sono le sue…
Siamo dinanzi al terribile terremoto profetizzato da Jonathan Safran Foer nel suo romanzo “Eccomi”, in cui narra di un disastro nell’area mediorientale a seguito del quale Israele viene invaso e fagocitato dalle realtà islamiche confinanti nella universale indifferenza…
Non si confonda il ringhiare da ogni parte del mondo con la solidarietà, la vicinanza, la partecipazione. E’ solo tifo da stadio, destinato a scemare quando il campo sarà vuoto, non ci saranno veri vincitori e i problemi non avranno avuto soluzione di sorta.
La sete di vendetta non porta da nessuna parte. L’unica via d’uscita è guidare la popolazione palestinese a trovare una leadership moderata, ad impermeabilizzarsi dall’estremismo islamico, ad estirpare le profonde radici di Hamas e di chi altro soffia sul fuoco dell’odio, a far sparire il seme di una discordia senza senso.
Si pensi a chi è rinchiuso nei lager dei tunnel sotterranei di Gaza piuttosto che ad uno sterminio. Riportare a casa gli ostaggi sarebbe l’unica vera lezione.