Tutti i regimi autoritari o che vogliono spacciarsi come tali, non importa se di “destra” o di “sinistra”, hanno tutti una cosa in comune: la stupidità di fondo.
Il fanatismo, la bieca osservanza delle disposizioni della parte dominante, persona o partito, portano a comportamenti ridicoli.
Vedi la foto delle due atlete cinesi che si abbracciano, dopo avere completato una gara sui 100 metri ostacoli ai giochi asiatici. Lin ha vinto la medaglia d’oro, gareggiando nella corsia 6. Wu ha corso in corsia 4. Abbracciandosi, i rispettivi numeri di corsia, attaccati ai pantaloncini, formano il numero 64.
Tanto è bastato perché l’immagine sia stata censurata su tutti i media sociali cinesi dopo che qualcuno ha messo in linea, congratulandosi con la signorina Li, la foto su Weibo, una della più frequentate piattaforme cinesi.
A dire il vero nemmeno nell’efficientissima e controllata Cina la censura funziona al cento per cento. Ci sono stati dei quotidiani che l’hanno comunque pubblicata (es. Guangdong News).
64 è un numero tabù in Cina. Non se ne parla, non lo si pubblica. Farlo significa alludere all’”incidente” di Piazza Tienanmen, il 4 giugno 1989. Le date in Cina si scrivono prima il mese e poi il giorno, quindi 6 4.
Era il 1980. Grandi cambiamenti agitano la Cina. Il partito comunista, con alla guida Deng Xiaoping, apre l’economia alle aziende private e all’investimento estero. Obiettivo: crescita economica e miglioramento delle condizioni di vita. Ci sono conseguenze inaspettate: aumento esagerato della corruzione e forti speranze di maggiore apertura politica.
Il partito si divide fra progressisti, che vogliono cambiamenti ancora più rapidi e la frangia dura, tradizionalista, che vuole conservare lo stretto controllo centrale.
A metà degli anni 1980 inizia la protesta studentesca, alimentata anche da chi vive all’estero, esposti a idee nuove e a standard di vita più elevati.
Il 15 aprile 1989 muore Hu Yaobang, che dopo avere gestito alcune delle riforme economiche e politiche, era stato estromesso, due anni prima, dai vertici del partito. La protesta si infiamma. La destituzione di Hu per il movimento degli studenti è simbolo del nepotismo del potere politico e accusano Deng di aver silurato tutti quelli che non seguono la sua politica.
In decine di migliaia si riuniscono il giorno dei funerali, chiedendo maggiore libertà di parola e minore censura, come proposto da Hu.
Nelle settimane che seguono, i manifestanti, si stima che arrivarono a esserci più di un milione di persone, si riuniscono in piazza Tienanmen, la più grande al mondo, nel cuore di Pechino, dove, sotto il vigile sguardo della gigantesca immagine di Mao Tse Tung appesa sopra l’ingresso principale della Città Proibita, sorgono i simboli e i palazzi del potere del partito.
Il governo non prende provvedimenti nei confronti dei manifestanti. Anche perché non c’è accordo. C’è chi vuole fare concessioni, altri sono per la linea dura. Questi ultimi hanno la meglio. Viene promulgata a Pechino la legge marziale a partire dalla seconda metà di maggio.
Il 3 e il 4 giugno l’esercito muove in direzione di piazza Tienanmen per riprendere il controllo dell’area, aprendo il fuoco, schiacciando e arrestando i manifestanti.
Il 5 giugno, un uomo qualunque, due buste della spesa in mano, rimane immobile davanti a una colonna di carri armati che stanno lasciando la piazza, bloccandola. Sarà l’immagine simbolo dei morti di piazza Tienanmen. Due uomini lo portano via a forza. Non si saprà mai che fine ha fatto.
Come non si saprà mai quanti manifestanti vennero uccisi. Alla fine del giugno 1989 il governo cinese dichiara che i morti sono 200 fra i civili e varie decine fra le forze dell’ordine.
Altre stime parlano di centinaia, migliaia di uccisi.
Nel 2017 vengono pubblicati documenti riservati che rivelano che Sir Alan Donald, allora ambasciatore del Regno Unito a Pechino, valutava in 10 mila il numero dei caduti.
Da allora la censura su questo evento drammatico è feroce. Non se ne può parlare, non se ne deve parlare. Le nuove generazioni non ne sanno nulla, o almeno ciò è quello che sperano i vertici del partito.
Al 4 ottobre 2023, la Repubblica Popolare di Cina ha vinto 300 medaglie ai XIX giochi asiatici di Hangzhou, aperti il 23 settembre per chiudere il giorno 8 ottobre. 146 sono medaglie d’oro. Dovranno vincere altre perché il 6 e il 4 sono ancora presenti.
Da chiedersi se il partito abbia dato indicazione di non vincerne 1 64…