L’origine dell’epidemia è ancora da definire, ma una certezza non manca: l’impennata della paura è certo dovuta alla cattiva informazione.
La zona maggiormente pericolosa e da cui sarebbe il caso di stare davvero alla larga non è quella di Wuhan, ma piuttosto la piazza virtuale dei social network dove i bacilli dell’imbecillità si propagano a velocità iperbolica.
Il problema è indiscutibilmente serio, ma la contaminazione che maggiormente spaventa non è quella batteriologica. Fake news e tesi complottiste rimbalzano sulle piattaforme di ritrovo online con la casualità dei movimenti della pallina all’interno di un flipper. Ai tasti laterali della “pinball machine” che decidono la sorte della “partita” ci sono gli iscritti a
Facebook e alle altre mille balere dell’inerzia cerebrale.
Meccanici, astronauti, coltivatori diretti, cuochi (ormai immancabili), parquettisti e “terzini della Sampdoria” (aggiungerebbe il Benigni del Giudizio Universale ne Il Papocchio) lasciano i rispettivi paramenti sacri del proprio mestiere, indossano il camice bianco e assumono la postura del vecchio primario “trombone”. Agili come un battitore sul campo da baseball, tutti colpiscono la notizia e confidano in un “fuori campo” che arrivi a portarla chissà dove e a meritare “like” e commenti per innaffiare e concimare la propri autostima.
Non importa cosa si condivida o cosa non si esiti ad apprezzare. L’importante è dare la propria opinione, anche – e perché no? – a sproposito.
Su Internet, chi non ha nemmeno mai “giocato al dottore” (circostanza che all’interessato avrebbe garantito una evoluzione psicologica diversa e certo più vivace) si improvvisa profondo conoscitore di qualsivoglia patologia e – soprattutto – infallibile potenziale risolutore delle più disparate problematiche cliniche e non.
La libertà di espressione erroneamente miscelata con la non vigilata possibilità di salire sul pulpito digitale e sparare qualunque idiozia, ha generato diverse species di “homo telematicus”. Dagli odiatori che odiano perfino se stessi agli esegeti della politica, dagli strateghi finanziari che sempre saprebbero come fare fino agli incompresi cronici, la
moltitudine della cyberpopolazione include anche gli emuli di Piero Angela che distillano perle di conoscenza propinando al mondo le tesi più intriganti.
Ci si imbatte così in storie affascinanti e in combinazioni astrali che attribuiscono la dote della veggenza ad autori di scritti ormai vetusti, avendo così l’opportunità di riconoscere che certi eventi contemporanei erano già stati pronosticati con ampio e sos lopetto anticipo.
“Era già tutto previsto”, canterebbe Riccardo Cocciante.
Inutile elencare le ipotesi più farneticanti e le conseguenti suggestioni. Il momento è già sufficientemente tragico per concedersi il lusso di giocare ancora.
E siccome tutti hanno il rimedio in tasca, proprio per non sentirmi emarginato propongo il mio.
Togliamo la connessione Internet.
E’ una boutade, ma mentre lo scrivo penso all’importanza della rapidità delle comunicazioni e non riesco a non mettere in evidenza la necessità che queste siano – nell’interesse comune – disciplinate.
Post deliranti e messaggi su WhatsApp incrementano la paura, senza corrispondere un minimo di utilità. E questo turbine di mozzichi di notizie, quasi sempre incomplete o talvolta fuorvianti, incendia gli animi e getta le basi della psicosi collettiva.
“Gigante, pensaci tu”, mutuato dal Carosello di una industria dolciaria, dovrebbe essere l’invocazione ai colossi dell’informazione (penso banalmente alla RAI e al suo servizio pubblico) di riprendere la cloche della situazione.
In questo momento la miglior medicina è la conoscenza, quella qualificata, quella seria.
Fermiamo la spettacolarizzazione delle disgrazie, smettiamola con lo show del dolore e dell’angoscia, dimentichiamo share e audience.
Quale valore aggiunto danno le insulse interviste alla signora che esce dal supermercato o al tizio seduto al tavolino del bar?
Si prenda esempio da The Lancet, la celeberrima rivista medica, che ha pubblicato l’appello di 27 scienziati che implorano di smetterla con rumours e bizzarre ipotesi di cospirazione che intralciano il lavoro serio di chi davvero è esperto anche se non siede e non urla nei “talk” o nei “reality” di casa nostra.
Anche la disinformazione uccide.