Proviamo orrore e non ci tratteniamo.
Proviamo disgusto per la casamatta fatta saltare in aria coi prigionieri Azovstal di Mariupol. Proviamo le stesse emozioni rancorose verso gli austriaci di quando da giovani ci fecero leggere Silvio Pellico.
È vero: “Le mie prigioni” hanno fatto all’impero più danno dei MAS di Rizzo e Paolucci. La foto dei morti accatastati, tra cui si riconosce il vicecomandante con la lunga barba rossa, fatti arrendere dal Comando perché ormai troppo rischiosi i rifornimenti per i piloti degli elicotteri, ci ha turbato molto. Come il ”suicidio” della Bader-Meinhoff in galera, ricordate?
No: come l’omicidio di una compagnia di Alpini nel ’45, nel porto di Lussinpiccolo (Mali Lošinj) da parte dei titini: legati uno all’altro col fil di ferro, sparato un colpo in testa al tenente capofila, tutti caduti e affogati nel porto. Non è giusto che si facciano queste cose. Non è giusto non esecrarle!
E adesso questo imbecille che scimmiotta Alboino: e avrà consensi, sarà un influencer, un ulteriore divisore anziché un pontifex.
Vi proponiamo, pertanto, questa nostra riflessione storica.
Massimo Di Muzio, Pier Enrico Gallenga.
“Bevi Rosmunda nel cranio di tuo padre”
Il longobardo Alboino impose a Rosmunda con ferina violenza il gesto di supremo disprezzo per il padre Cunimondo: ne fu ricambiato dal di lei amante Elmichi con la congiura.
Non andavano per il sottile, come Idi Amin Dadà che mangiava crudo il cuore del nemico (salvo poi rifarsi la verginità regalando diamanti alla Prime-Dame dell’amico Presidente all’Eliseo).
Si annuncia così il ‘’progresso culturale’’ che porterà a sostituire l’ordalìa al Diritto di Quintiliano: se riesci a camminare sul carbone ardente, Dio è con te, sei salvo.
Orrore. E pietas per quelle generazioni che hanno subito simili empietà.
Il teschio di Cunimondo usato per coppa di vino è gesto di disprezzo e potere.
Il teschio di Amleto è il contenitore da cui estrare dubbio universale.
Che abisso fra il basso evo medio di conquista territoriale da barbari destinati a costituire il primo regno d’Italia e a cingerne la Corona Ferrea e la meravigliosa poesia dell’usignolo di Stratford-upon-Avon (Guglielmo Crollanza, di origine siciliana, secondo l’esegesi del ventennio) che mille anni dopo esplorerà le tragedie dell’animo umano.
In molte teste mozze si inciampa, nella storia dell’uomo.
Giuditta offrì un seno e Oloferne ci rimise l’intera testa: Caravaggio, Allori, perfino Klimt furono altrettanto sedotti dal gesto. Artemisia Gentileschi risolse la scena immaginando il Tassi, che l’aveva stuprata.
Giuditta e Oloferne (1599-1602 ca.), Palazzo Barberini – Roma.
Salomè compì la profezia chiedendo la testa del Battista per la danza dei suoi sette veli: e, incitata dalla madre Erodiade, ballò a fronte dell’orrore. Povera vittima di un destino che le impose un ruolo che non poteva comprendere.
Salomè con la testa del Battista (1607-1610), Museo di Capodimonte – Napoli
Sicàri di Tolomeo XIII offriranno a Cesare la testa mozza dell’avversario Pompeo ormai sconfitto: lui ne pianse, arrivando a sconfiggere Tolomeo e insediare Cleopatra sul trono dell’antico regno conquistato da Alessandro. Il XIII non gli portò la schedina giusta!
Nemmeno a Robespierre, Danton e Desmoulins – che pure, salmodiando la Marsigliese, consacrarono la vita alla cesura illuministica con la Storia, modulata a Filadelfia dai ‘fratelli’ Benjamin Franklin, George Washington e Lafayette – andò molto meglio: nel 1794, due anni dopo i decapitati sovrani, furono anch’essi decapitati tra folla plaudente: “La rivoluzione è come Saturno: divora i suoi figli“: a parlare è Vergniaud, in piedi al banco degli imputati. Il Tribunale rivoluzionario ha appena pronunciato la sentenza: fino a qualche settimana prima era presidente della Convenzione Nazionale, tra poche ore il boia mostrerà la sua testa al popolo. Come se avessimo arrestato Di Pietro, Davigo, Borrelli, Boccassini ‘la rossa’ nel ’94, due anni dopo Tangentopoli. Di folla plaudente, poi, se ne può trovare dappertutto e per qualsiasi ragione. O torto.
Abbiamo avuto in mano scalpi Navajo, durante una ‘danza per la pioggia’ in un villaggio nella riserva Hopi in Nevada: non erano recenti, ma non troppo antichi; e piovve davvero, prima che rientrassimo al campo, dopo 40 giorni di siccità. Il politically correct impone la revisione dell’epopea del Far West e di far emergere le violenze del Deep South, KKK e corna vichinghe. E altre violenze.
Ma non si può tacere di fronte all’orrore. Bisogna esprimere a voce alta la condanna per quel mostro idiota che alza il teschio “nemico” scimmiottando Alboino: ma davvero conoscerà la storia del re longobardo?
Forse il vino accomuna le espressioni degli spiriti malvagi. Inutile soldatino il cui nome è da dimenticare per damnatio memoriae, trionfo di vigliaccheria e approfittatore senza parola e senza fede di una resa comandata dallo Stato Maggiore, nell’impossibilità di continuare a rifornire gli assediati di Mariupol.
Come a Dien Bien Phu, come a Masada, in auto-sacrificio. Duemila anni dopo le croci sull’Appia per la rivolta degli schiavi di Spartaco. Nazismo? Fascismo? Comunismo? Ideologie dell’idealismo Hegheliano? Leninismo e Stalinismo? Pinochetismo? Putinismo? Perché tutti, tutti, tutti i Dittatori riescono a fornire a dei miserabili epigoni l’opportunità per far comunque emergere nell’animale uomo non l’animus ma l’ànimo animale, la bestia?
Abbiamo una teoria.
Ucciso Abele, il Buono, il seme rimase a Caino. La trasmissione pur recessiva del Male si manifesta ancora nelle generazioni. La trasmissione recessiva prevede la conservazione di un tratto genico, anche quando il fenotipo non lo esprime: ma lo conserva e lo trasmette, finché, casualmente rinforzato da un analogo tratto recessivo, si esprime. Ed agita teschi.
Nessuno tocchi Caino? Non si può estirparlo, come non si estirpa la trasmissione cromosomica (nel mondo, non in laboratorio). Caino è fra noi. Caino è anche dentro di noi.
Caino, Caino, Caino: dove sei Caino? Maledetto.
Anathema sit.