È un periodaccio. La peste Covid, quelli che chiamano gli sconvolgimenti climatici e la guerra sempre meno a pezzi e più mondiale. C’è chi interpreta pestilenze e diluvi, fin dai tempi di Noè e delle cavallette sotto le piramidi, come riappropriazione dell’ordine delle cose, sconvolto dall’uomo, da parte della natura. Magari accostandola ad un disegno di punizione “soprannaturale”. Monito, questa, per far ricominciare con più disciplina.
Quanto alle guerre, secondo il filosofo spagnolo Raimon Panikkar, si tratterebbe di un fenomeno culturale che discende dalla violenza, parte sostanziale della natura umana, che solo la ragione, la cultura della convivenza in pace possono contenere.
Sarebbe quindi irrealistico affannarsi per la pace universale se prima non si procede al disarmo della cultura bellica individuale. Hic et nunc. Sì cominciando da noi e qui dove non volano droni armati, ma le parole vengono troppo spesso scagliate “contro”, favorendo un clima di “naturalezza della guerra”.
Un banchiere, Roberto Calvi – che a forza di litigare con nemici e soprattutto con ex amici finì suicidato da questi e quelli – confidò a Giampaolo Pansa di vedere l’Italia come una società con quasi sessanta milioni di azionisti i quali da appena svegli, cominciano a litigare. (Per Churchill il doppio, contando fascisti ed antifascisti del dopo Liberazione).
Lo registrano ogni giorno – e ci mettono molto del loro – i talk show, perché nessuno dimentichi di sentirsi più diverso, cioè meno uguale dell’altro e, perciò, in diritto di pretendere ed imporre. I tg fanno il resto, aprendo e chiudendo con notizie di assassinii e fatti di cronaca nera a conferma e certificazione.
Ha scritto un teologo laico, Vittorio Mancuso, che da noi manca la religione “civile” che c’è invece in altri paesi occidentali. Soprattutto gli anglosassoni, figli della Riforma, che nel ‘500 da noi provocò solo la Controriforma.
Quelle tra ragazzi che una volta si chiamavano baruffe, diventate sempre più incursioni da baby gang, finiscono a coltellate e, intanto, a scuola i genitori litigano con i docenti perché sono papà e mamma dell’incompreso. In famiglia, i parenti serpenti s’inoculano reciprocamente veleno. Troppo spesso le rivendicazioni anche legittime sconfinano nella violenza. Che una volta era soprattutto da stadio e ora è da tutto. Dalla fila al supermercato, alla guida dell’automobile, alle proteste di piazza troppo spesso con corsia preferenziale verso i pronto soccorso
Perfino nel vocabolario si litiga per le vocali finali delle parole da far soccombere sconfitte da un asterisco.
In fuga, o meglio esiliato, il buon senso, cioè la capacità, come è scritto nel Dizionario Zingarelli, di “comportarsi con saggezza e misura, attenendosi a criteri di opportunità generalmente condivisi”.
In parlamento e dintorni, poi, dove la democrazia comporta naturalmente scontri d’opinione, quando la temperatura e i toni di voce si alzano, non si sente più il presidente richiamare i colleghi “al garbo consueto” come faceva Giovanni Leone. La fanno da padrone, invece, le risse, l’insulto per l’insulto, l’apodittica convinzione che l’altro per definizione dica e faccia solo cose di cui vergognarsi.
Guardando a Kiev, a Gaza, passando per Mosca e Washington, non sarà il caso di cominciare, intanto, dall’italico quotidiano? Magari per cercare un po’ di felicità?
Difficile, certo, possederla, la felicità, e perfino capire cosa sia.“Appagamento postumo di un desiderio preistorico” a leggere la psicoanalisi di Freud. Il “non domandarsi mai se si è soddisfatti o no” per Bernard Shaw. “Piacer figlio d’affanno” masochisticamente alla Leopardi o più ottimisticamente alla Renzo de I promessi sposi per il quale “i guai, quando vengono, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”. Per Voltaire “la felicità non è che un sogno, mentre il dolore è reale”.
Ciò stante, perché non ritrovare un pò dell’antico buon senso e… sognare che anche Trump e Putin, Netanyahu e Hamas, Zelensky e papa Leone col patriarca Kirill facciano lo stesso?