L’indifferenza del cittadino italiano agli eventi politici si manifesta maggiormente, come più volte evidenziato in queste pagine, nella scarsa partecipazione alle tornate elettorali.
Questa disaffezione è gravida di conseguenze sotto il profilo civile e democratico. Allorquando si supera il 55% pare si sia superato un record. Le ultime elezioni comunali hanno registrato una media nazionale di poco superiore al 56%. Consideriamo che, particolarmente nei piccoli e medi Comuni, le elezioni toccano da vicino gli interessi di molti cittadini per cui l’affluenza è maggiore, talvolta anche per legami di parentela o di amicizia. Non parliamo del referendum dove l’affluenza si è fermata poco sopra il 30 %.
Un risultato non scontato ma, considerati il contrasto del Governo e la disaffezione generale è soddisfacente. Un tempo, non certo lontanissimo, parliamo di tre o quattro decenni or sono, le medie non scendevano sotto l’85%. Veramente si poteva capire l’umore del Paese e tutti si sentivano partecipi delle scelte politiche. Non possiamo sottacere che alte cariche dello Stato, in occasione degli ultimi quesiti referendari, hanno fortemente fomentano l’astensionismo.
Stesse cariche che parlano di Patria forse dimentiche del fatto che i nostri avi hanno sacrificato la vita per darci la democrazia e la possibilità di votare. Disprezzano il loro sacrificio per un misero interesse di bottega, senza offesa per i titolari di botteghe.
Questa prolungata e diffusa indifferenza, di fatto disinteresse per il Paese deve far riflettere. La disaffezione alla partecipazione al voto è preoccupante perché si consegna tutto ad una minoranza di votanti che si recano alle urne scegliendo per tutti. Senza ricordare che alla fine tutti si lamentano di tutto, soprattutto chi non ha votato.
Altra forma preoccupante è la costante e progressiva emigrazione italiana verso altri Stati. Se un tempo si esportava manodopera, braccia di lavoro che cercavano fortuna in luoghi più ricchi, ora molto è cambiato.
Tra il 2014 ed il 2023 circa un milione di cittadini italiani sono emigrati all’estero. Di costoro circa un terzo erano giovani e circa un settimo laureati in cerca di migliore occupazione in Paesi dove le loro figure professionali hanno maggiore dignità e retribuzioni adeguate.
In Italia, si ha così un preoccupante deficit di manodopera, di specializzati e laureati che viene compensato dall’immigrazione estera mediante flussi regolari e non. Inoltre, alcuni italiani non accettano di fare determinati lavori, anche se ben pagati. La penuria di artigiani o figure professionali come falegnami, idraulici, elettricisti è preoccupante.
Tra chi è emigrato vi sono anche pensionati che si trasferiscono in Paesi dove il regime fiscale del luogo permette loro di percepire la pensione praticamente senza imposte. Non sono solo persone che hanno redditi tra gli ottocento ed i milleduecento euro o poco più. Questi, prevalentemente, cercano di avere un tenore di vita più dignitoso dopo aver lavorato per decenni.
Tra i pensionati all’estero, e non sono pochi, vi sono persone che godono di pensioni di tutto rispetto, ovvero dai 4.500 ai 6.000 euro mensili in Italia che, tradotto a spanne, aumentato delle imposte non pagate in Italia, significa dagli ottomila ai diecimila euro all’estero. Certamente ognuno ha le proprie personali ragioni ma il danno per lo Stato non è irrilevante. In tali Paesi occorre rimanere almeno 186 giorni all’anno. Tornati in Italia, generalmente, possono godere del nostro già disastrato sistema sanitario nazionale, talvolta previo un modesto contributo, senza che versino alcunché al fisco.
Si vogliono avviare politiche adeguate onde evitare che gli italiani si trasferiscano all’estero, in particolare le figure professionali di cui l’Italia necessita, ed affinché la disaffezione al voto sia contenuta?
Indifferenza per le tornate elettorali, fughe in cerca di lavoro o di maggiori redditi minano sia la democrazia, sia l’economia italiana.