La tragicommedia del professor Stefano Addeo è l’irriverente simbolo di questo Paese ormai all’irreversibile deriva.
Il professore di tedesco nelle terre campane di Cicciano è stato capace di tre cazzate insuperabili in rapida successione, vero goleador del mai giocato campionato dell’idiozia.
Prima ha postato su non so quale social il nefasto auspicio nei confronti della figliola della Premier, poi ha dato la colpa a ChatGPT o a chissà quale altro sistema di intelligenza artificiale, quindi ha pensato di suicidarsi dimostrando di non esser in grado manco di togliersi la vita.
Intervistato in feroci reportage concede un autoritratto verbale che dovrebbe tuonare come monito per chi istituzionalmente affida ruoli didattici non immaginando l’inadeguatezza di chi ha il delicato compito di istruire e crescere l’Italia che verrà.
A quanto pare è il normotipo della rabbiosa razza dominante dalle nostre parti che eccelle nell’imbrattare i muri e nello sfregiare le pagine web, per poi pentirsene e piagnucolare non appena inchiodata dalle inconfutabili responsabilità.
E’ la violenza di ritorno, quella che fa eco allo sbraitare dei politici che arringano la folla non esitando ad esibirsi “in presenza” o per il tramite di una telecamera che ne immortala le performance e ne consacra le immancabili contraddizioni e promesse mancate.
E’ così che comincia l’odio che sta facendo marcire le fondamenta di una civiltà. Sono questi i frutti di quel che si è seminato e sarebbe davvero curioso se – dopo aver piantato patate – uscissero fuori gladioli.
Se non si ha la forza di dare il buon esempio, però, non ci si lamenti e non si punti il dito la cui prima falange rischia di ritorcersi contro i propri occhi.
Si faccia qualcosa per riurbanizzare le relazioni interpersonali e la prima cosa da fare è quella di abbassare i toni delle invettive – spesso sgrammaticate – con cui si incendiano gli animi di persone di proporzionale caratura. Si provi a pensare che le cose non vanno poi così bene come piace far credere e che la colpa è sì atavica ma anche chi “guida” adesso deve fare un sincero esame di coscienza.
La situazione odierna è l’unica “figlia” da dover considerare, ma qui – come altrove – è meglio prendersela con chi l’ha procreata.
Lasciamo stare la prole, soprattutto quella completamente innocente. Lasciamo stare pure la discendenza che – ad ampio spettro politico – si ritrova in tribunale (in tutta Italia isole comprese, come diceva Aiazzone) per presunti stupri ed episodi di revenge porn.
Limitiamoci a ricordare che non sono le urla – verbali oppure scritte in stampatello maiuscolo – a vendicare o a mutare le cose. La situazione può essere cambiata anche sottovoce o addirittura nel totale silenzio.
Come quando venne eretto l’obelisco di Piazza San Pietro si potrà perdonare solo l’indimenticabile “Daghe l’àiga ae corde!” (date acqua alle corde) urlato da un sanremese ufficiale di marina mercantile per evitare che si spezzassero le funi che sollevavano l’enorme peso. Si abbia il coraggio di tollerare lo strillo di un novello capitano Benedetto Bresca. Invece di zittire le critiche o le opposizioni, si ascolti il grido di un intero Paese che implora che si faccia qualcosa e non si faccia cadere tutto a terra.