Mentre l’Italia migliore muore in un agguato la cui dinamica è ancora sotto la lente di ingrandimento, c’è chi pensa di brandire un megafono per esprimere una commozione che non prova, per partecipare ad un dolore da cui è a distanza siderale, per far sfoggio di lacrime artificiali senza avere problemi oculistici che ne prescrivono l’utilizzo, per far presa sulla collettività simulando una sensibilità di cui non c’è traccia.
Nel Paese di Giulio Regeni, nella terra in cui si tentano mille trucchetti per dare la cittadinanza ad un calciatore e non si fa nulla, assolutamente nulla, per Patrick George Zaki, si assiste al pietoso show dei politici che cavalcano una così sconfortante tragedia e qualcuno tra loro riesce a lasciare un segno tanto indelebile quanto inconfondibile.
Il tweet dell’ex ministra della Salute Beatrice Lorenzin sfiora l’incredibile ma è il termometro del malessere tricolore.
La deputata – o chi diligentemente ne cura il traffico “social” in nome e per conto dell’interessata – riceve da un ghostwriter o da altro suggeritore il testo del messaggio da catapultare nell’agorà virtuale, messaggio che la persona interessata e mittente ufficiale probabilmente non ha tempo, modo o sentimento per redigere personalmente.
Tale è la partecipazione emotiva della Lorenzin da non accorgersi che il suo “ispiratore” le rammenta di inserire il nome del carabiniere barbaramente ucciso.
Il testo viene banalmente copiato e – forse gli occhi tumefatti dalla disperazione – incollato su Twitter con la rapidità che solo un viscerale coinvolgimento riesce a stimolare: “Mi stringio attorno alle famiglie dell’ambasciatore #LucaAttanasio e del giovane carabiniere (metti il nome) morti nell’agguato In #Congo, mentre svolgevano una missione ONU. Cordoglio all’intera arma dei @Carabinieri e a tutto il corpo diplomatico”.
Chiunque nel vedere uno scempio simile sarebbe portato a dire “Non ho parole”, ma non tutti – però – potrebbero contare su un ghostwriter per rimediare.
