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IL RICORDO DEI DEFUNTI COME INDICATORE SOCIO CULTURALE

Gian Paolo Di Raimondo di Gian Paolo Di Raimondo
31/05/2025
in RIFLESSIONI
IL DEGRADO DEI CIMITERI ROMANI
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Il culto dei morti è un insieme di riti, credenze e pratiche relative alla morte, alla sepoltura e al ricordo dei defunti. È un aspetto fondamentale della vita umana in molte culture, con radici che risalgono ai primordi della storia. 

Il cimitero Flaminio di Roma soffre di un degrado significativo, con diverse problematiche che includono sporcizia, guano, infiltrazioni, rovi, mancanza di manutenzione, furti e vandalismo. Queste condizioni rendono difficile la visita ai defunti e creano un ambiente poco rispettoso. 

Ho scritto una sola volta sul culto dei morti che gli esseri umani hanno sempre praticato fin dall’antichità. Oggi voglio riprendere quell’articolo scritto tempo fa per riproporlo ai lettori di Giano.

Quello che, purtroppo, dobbiamo notare è che, come in altri campi della convivenza civile, anche in questo le tradizioni più legate ai vincoli affettivi si stanno affievolendo. Solo nei piccoli centri e nelle classi sociali meno abbienti ancora è attuata la prassi di mantenere vivo il rapporto con le persone care anche dopo la loro naturale dipartita. Ma nella maggioranza delle città e della popolazione questa antica consuetudine sta scomparendo. 

Personalmente mi è sempre caro il ricordo di quando con la mamma e qualche altro familiare una o due volte al mese andavamo al cimitero per recitare una preghiera insieme, portare fiori e dedicare qualche minuto a far rivivere con il pensiero il tempo più bello trascorso con i nonni. Oggi quasi mai le mie figlie vengono al cimitero con noi – mia moglie ed io – e, di conseguenza pure i nipoti. Purtroppo anche la mia famiglia, come le altre che vivono a Roma, hanno qualche giustificazione a non frequentare i cimiteri visto lo stato di degrado di come sono ridotti. Vedere per credere.

C’è veramente da rimanere sbalorditi da questa situazione. Qualche tempo fa ho letto una lettera pubblicata su Il Messaggero in cui un lettore raccontava che nel corso di una telefonata di protesta ai Servizi cimiteriali per la mancanza di acqua al Cimitero Flaminio, si è sentito rispondere: “ma che i morti bevono?”; il cittadino romano, oltre al disservizio, deve subire pure la beffa di avere un rapporto poco serio con le istituzioni che dovrebbero assisterlo. 

Altro che culto dei morti, qui si tratta di vera e propria carenza di educazione civica. Prima di continuare ad analizzare gli elementi della vita attuale che ci hanno indotto a ridurre drasticamente il rapporto con i nostri defunti, spiritualmente con la preghiera, ma soprattutto materialmente con la frequentazione dei cimiteri, penso sia utile dare un’occhiata alla storia del culto dei morti nei popoli che ci hanno preceduto e hanno aperto la strada alla nostra cultura, quello egiziano, greco, etrusco e romano.

Gli Egizi credevano che l’uomo nascesse con due anime: il Ba e il Ka; il Ba era destinato ad effettuare il viaggio verso l’aldilà, dove riceveva il premio o la punizione che le spettava; il Ka era destinato a rimanere con il corpo e a custodirlo nella tomba. finché duravano i viveri. Gli Egizi, infatti, pensavano che dopo la morte ci fosse un’altra vita: per questo motivo mummificavano i corpi dei faraoni per permettere al morto di conservare per lungo tempo il corpo nella vita dell’aldilà e quindi permettergli la sopravvivenza. Nelle tombe mettevano cibi, vesti e cosmetici, ritratti del defunto e una specie di cofanetto in pietra con incisa una porta per permettere al defunto di andare dal mondo dei vivi a quello dei morti.

Anche gli antichi greci avevano distinto il corpo dall’anima per dare una giustificazione alla morte. Relativamente al concetto di corpo e anima, c’è da dire che per la religione greca, l’uomo è composto da due parti: un corpo mortale ed una parte immortale, chiamata eidolon (aspetto vitale). L’eidolon, chiuso nella tomba o prigione del corpo, doveva purificarsi per essere degno di una vita felice nei campi Elisi. Questo concetto è arrivato fino ai nostri giorni, è infatti presente in molte religioni importanti.

Altro riferimento storico è rappresentato dalla civiltà etrusca che, dai ritrovamenti delle tombe tutt’ora visitabili, dava ai propri defunti particolare attenzione e cura.

Certamente gli Etruschi ebbero un profondo culto dei propri defunti, ma non solo questo: il rispetto per essi, il desiderio di rappresentare le tombe come le dimore per l’eternità, la perfetta sistemazione delle aree funerarie e lo stesso orientamento delle aperture dei sepolcri, rientrano in un più vasto ambito sacrale e religioso. Nei tempi più antichi gli etruschi credevano ad una qualche forma di sopravvivenza terrena del defunto. Da ciò nasceva l’esigenza, come forma rispettosa di omaggio, di garantirne la sepoltura e di dotarla di richiami al mondo dei viventi. La

tomba veniva così costruita nell’aspetto della casa e dotata di suppellettili e arredi, veri o riprodotti in miniature. Alcuni ritrovamenti di parti di testi religiosi riguardanti cerimonie funebri, ci permettono di farci un’idea di quanta attenzione dovesse essere data dagli Etruschi a questo rituale.

E infine anche i Latini avevano particolare cura dei propri defunti.

Per i Romani, nell’età più antica, la rappresentazione della morte si identificava con Mors, una figura astratta degli indigitamenta, più tardi personificata nella figura di Orcus. Il credere di divinità dell’oltretomba era strettamente connesso col ritenere che l’anima sopravvivesse alla morte del corpo. Secondo gli antichi, infatti, quando la vita si spegneva, l’anima usciva liberandosi e discendeva nell’oltretomba, ossia nel regno di Ade; alle anime veniva poi consentito di tornare sul mondo dei viventi. 

Da tutto ciò scaturiva la necessità di un culto dei morti comprendente una serie di riti e preghiere che accompagnavano i defunti. Secondo il pensiero  più antico le anime, liberate dal corpo, si tramutavano in essenze divine, i Manes (Mani), che con la loro presenza rendevano sacro il luogo dove il defunto era sepolto. Gli dei Manes nel periodo arcaico furon intesi sia come forze animistiche, membri spirituali della comunità familiare alla quale erano appartenuti in vita, sia comunità a parte privi di un carattere personale.

E ora veniamo alla situazione che stiamo vivendo in merito all’intero grande problema della morte. Non è semplice analizzare le cause che ci hanno portato alla mutazione della cultura con cui ci rapportiamo con essa, dalla sepoltura, al lutto, al rito di recarsi al cimitero. 

Molteplici sono infatti le esigenze della vita sociale attuale e enorme è l’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti del morire e della morte da rendere quasi impossibile trovare l’elemento che principalmente abbia causato tale cambiamento. Io qui mi limiterò a fotografare la situazione attuale e quello che ci possiamo aspettare nel futuro. I riti della sepoltura non sono più quelli di cinquant’anni fa, si è passati dalla sepoltura in terra a quella in bruttissimi palazzoni dei morti o alla cremazione e sono scomparsi quasi totalmente gli aspetti esteriori del lutto. 

Ma, soprattutto, come accennavo prima è venuto meno il rito di recarsi al cimitero frequentati ormai da poche persone anziane e qualche mariuolo che ne ha fatto un luogo di lavoro. Nel nostro mondo industrializzato anche il rito funebre è diventato un fatto commerciale: si vendono “pacchetti tutto compreso”, dalla preparazione della salma e della camera ardente alla sepoltura e stampa del ricordino, il tutto offerto con ampia varietà di tipologia e ovviamente di costo. Così, anche la morte che è uguale per tutti, si è riusciti a differenziarla secondo le disponibilità economiche. Di questo passo dove arriveremo? 

Alcuni ipotizzano che in un futuro non lontano, la diffusione dell’uso dei social network oggi già potenziali tombe, costituiranno i prossimi “cimiteri virtuali”. Così sarà possibile fare visita ai nostri cari defunti senza alzarsi dalla sedia del computer. Non so a voi, a me questa prospettiva mi fa inorridire.


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Gian Paolo Di Raimondo

Gian Paolo Di Raimondo

Gian Paolo Di Raimondo nasce ad Ancona il 2 marzo 1936, svolge i suoi studi a Camerino, dove si diploma nel 1955. Dopo un primo periodo lavorativo da geometra in alcuni Comuni del maceratese iniziato nel 1956 e il servizio militare come Ufficiale carrista, nel 1959 è assunto in Olivetti Bull nel settore dell’automazione aziendale e da allora partecipa all’evoluzione tecnologica dell’informatica. Nell’hardware, dai sistemi a schede perforate ai computer e nel software, dai primi linguaggi e sistemi operativi a quelli sempre più evoluti. Cresce parallelamente nella carriera, passando dall’Olivetti alla Philips e alla Siemens. In tutte e tre queste aziende multinazionali dell’elettronica raggiunge ottimi livelli manageriali: Responsabile di un settore del Marketing dell’Olivetti, Direttore Vendite della Divisione “Data Systems” della Philips e Direttore Commerciale del Distretto Centro-Sud della Siemens Data. Uscito dal lavoro dipendente nel 1987, fonda da libero professionista la CISIT S.p.A. – Consorzio Interaziendale Servizi Informatici e Tecnologie – e ne assume la presidenza che mantiene fino al 2000, Dal 2000 al 2006 è Presidente della InfoGuard S.p.A. che opera nel settore della Sicurezza informatica in collaborazione con la Cripto A.G. svizzera. Nel 2006 (dopo 50 anni di lavoro produttivo) inizia a fare il pensionato a tempo pieno, massimizzando l’attività di volontariato con la Caritas e con altre Organizzazioni umanitarie Onlus operanti nel settore della donazione del sangue e degli organi (dal 13/12/2018 è anche membro del Comitato Operativo della Fondazione Italiana Promozione Trapianti d’Organo – FIPTO). Incrementa, inoltre, la collaborazione con giornali e con il sito “omelie.org/approfondimenti” con la scrittura di articoli di attualità. Per le benemerenze acquisite nella sua lunga vita lavorativa, quattro Presidenti della Repubblica – Cossiga, Ciampi, Napolitano e Mattarella – gli hanno conferito altrettante Onorificenze al Merito della Repubblica Italiana: Cavaliere, Commendatore, Grande Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce. Il Presidente Ciampi, inoltre, alla fine del suo lavoro dipendente lo premia con la Stella al Merito del Lavoro nominandolo “Maestro del Lavoro”. A completamento del suo curriculum vitae, degno di citazione è l’interesse dimostrato per l’approfondimento della sua cultura religiosa che lo porta ad ottenere diversi attestati conseguiti in corsi presso Università cattoliche: Pontificia Università Lateranense Roma – Attestato di formazione biennale per “Operatori della Carità” (26/09/2008). MARIANUM Pontificia Facoltà Teologica di Roma – “Mariologia Diplomate” per corso biennale di Mariologia (04/06/2012). Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Roma – “Diploma di Specializzazione in Studi Sindonici” (30/06/2013). Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Roma – a completamento di un corso biennale ottiene il “Master di 1° livello in Scienza e Fede” (21/10/ 2015).

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