In precedenti articoli si è parlato di figure femminili che, a vario titolo e con diverse modalità, hanno contribuito al nostro Risorgimento. Per equanimità, si ricordano anche alcune donne che hanno lottato contro lo Stato sabaudo con posizioni antirisorgimentali. Tra di loro citiamo: Maria Sofia di Baviera, Michelina De Cesare e Filomena Pennacchio (tutte nate nel 1841).
La prima, sorella dell’Imperatrice d’Austria-Ungheria Sissi, moglie di Francesco II di Borbone, è certamente la più conosciuta e ricordata nei libri di storia. Il 13 febbraio 1861, a Gaeta, le artiglierie sabaude e del Regno delle due Sicilie cessarono il fuoco che perdurava dal 5 novembre 1860. I generali Cialdini, per i Savoia, e Ritucci, per i Borbone, firmarono la capitolazione dell’ultimo baluardo del Regno delle due Sicilie. Il mattino successivo Maria Sofia di Baviera e Francesco II di Borbone si imbarcarono, insieme a Prìncipi e Ministri, su una nave francese per raggiungere Roma. Li attendeva l’esilio, ospiti di Papa Pio IX. La folla gridava: “Viva ‘o Rre”.
Maria Sofia era molto amata dal popolo napoletano e di Gaeta, specialmente dalle donne. La coppia reale si era rifugiata a Gaeta il 7 settembre 1860 per l’imminente arrivo di Garibaldi. Iniziato l’assedio di Gaeta, la giovanissima Regina si unì alle truppe per combattere i piemontesi recandosi sui bastioni, incurante del pericolo e prodigandosi nel soccorso ai feriti. Visitava caserme, reparti e supervisionava ai lavori di rinforzo.
Divenne il simbolo della resistenza all’assedio e l’eroina di Gaeta. I soldati la chiamavano “Bella Guagliona nuostra”. Gli stessi Ufficiali sabaudi erano affascinati dalla sua bellezza; si mormorava che ordinassero la sospensione dei bombardamenti per ammirarla mentre correva tra i bastioni. Dopo tre mesi di assedio i soldati erano sfiniti e decimati; Maria Sofia si “inventò” di rispondere agli attacchi con la musica ballando lei stessa, come in una sagra paesana, sui bastioni dove aveva schierato le fanfare.
La sua figura divenne leggendaria e celebrata da poeti e scrittori. Dopo il 1870, caduta la Roma pontificia, si trasferì a Monaco di Baviera dove morì nel 1920. Nel corso della Prima Guerra Mondiale si adoperò nella cura ed il conforto dei feriti di ambo gli schieramenti, pur sostenendo l’Impero austro-ungarico. Dal 1984 le sue spoglie, quelle del marito e della figlia, morta a soli tre mesi, riposano nella basilica di Santa Chiara a Napoli unitamente a tutti i sovrani borbonici. Buona parte dei soldati sopravvissuti si trasferirono sulle montagne combattendo, unitamente alla popolazione locale, contro i piemontesi nel nome di Francesco II. Fu la prima guerra civile italiana.
Per inciso, la città di Gaeta è rimata molto borbonica; nei locali vi sono affreschi e quadri che richiamano il passato regno. Nel 1957 il Comune dedicò una targa ai resistenti del 1860-61 ed una strada alla sfortunata Regina.
La “terra di lavoro”, all’epoca ricca e vasta, comprendeva la provincia di Caserta nonché porzioni delle attuali province di Frosinone, Latina, Napoli e Benevento. Qui agivano bande di briganti in continua mobilità. A capo di una di esse vi era Francesco Guerra, ex sottufficiale borbonico, detto “’o Sergente”. Incontrò una giovanissima vedova, la ventenne Michelina De Cesare, una donna che girava sempre armata con un fucile a due colpi, segno di appartenenza ad una casta superiore nel contesto del brigantaggio.
Era una brigantessa e non una “druda”, come i piemontesi appellavano spregevolmente le donne dei briganti; il termine voleva significare donna di malaffare o di piacere per i briganti. Michelina indossava abiti maschili e partecipava alle azioni di fuoco della banda, per lo più di guerriglia e da lei suggerite. Non fu una delle tante donne dei briganti ma una brigantessa a tutti gli effetti con il rango di uno dei capi della formazione.
Divenne la donna più celebre del banditismo post unitario e la più fotografata, ancorché la fotografia fosse agli albori. La fotografia venne impiegata dai Savoia per evidenziare le loro capacità repressive del brigantaggio meridionale. Foto dei briganti uccisi ed impiccati venivano esposte, come l’ultima di Michelina De Cesare, morta nel 1868, a torace nudo, crivellata di colpi ovunque con il volto, una volta bellissimo, tumefatto dalle percosse; oggetto di alcuni versi, divenne l’icona del brigantaggio e della reazione femminile del Sud conto i piemontesi.
Filomena Pennacchio, ventenne, si innamorò del ventitreenne Giuseppe Schiavone, datosi alla macchia per evitare il servizio militare. In breve Schiavone divenne un apprezzato capobanda. Filomena, che vestiva da uomo, anch’ella chiamata “druda” dai soldati piemontesi, affiancò in tutte le occasioni il suo uomo: dagli scontri a fuoco, alle fughe, alle privazioni.
La vita della brigantessa dell’Irpinia ebbe fine quando una donna, per gelosia, rivelò il nascondiglio della banda che, nel 1864, fu catturata al completo. La Pennacchio scampò poiché stava per partorire ed era in casa della levatrice. Dopo la fucilazione dello Schiavone, si arrese e collaborò con l’esercito savoiardo all’arresto di membri di altre bande. Condannata a venti anni di lavori forzati, la pena venne ridotta a nove e, nel 1870, a sette. Da allora non si ebbero più sue notizie.
I Borbone al Sud sono ancora molto amati, le differenze tra Nord e Sud sono ancora particolarmente marcate; le vicende del brigantaggio hanno punti oscuri su ambedue i fronti ma questo riguarda gli storici, non un articolo.