I recenti attacchi dell’amministrazione Trump alle Università di Haward e della Columbia dovrebbero far riflettere. Chi non è più giovane, o ha letto in materia, ricorderà sicuramente cosa avvenne dal 1964 all’Università statunitense di Berkeley, in California. Brevemente rinverdiamo la memoria. Dal settembre 1964 gli studenti intrapresero una lotta con l’amministrazione dell’Università e si organizzarono in un gruppo, denominato ”Free Speech Movement”, costituito da vari “clubs” (associazioni studentesche di varia natura) del Campus. I “clubs” avevano un composito orientamento politico: marxisti rivoluzionari, socialdemocratici, liberali, conservatori e movimenti confessionali. Il fatto che si sviluppò a Berkeley venne attribuito sia alla collocazione geografica dell’Università, situata tra San Francisco e Oakland, sia alle caratteristiche socio-economiche della California. Berkeley era frequentata da brillanti studenti provenienti non solo dalla California ma da tutto il Paese; molti, tra i più talentuosi, parteciparono attivamente alle contestazioni. Influirono le contestazioni studentesche della fine anni cinquanta e gli sviluppi della guerra nel Vietnam che da un supporto iniziale al Governo del Sud Vietnam (seconda metà anni cinquanta), si tramutò in un impegno diretto nel 1965, sempre più consistente sino al 1975. L’azione del ”Free Speech Movement” era, prevalentemente, finalizzata ad ottenere una maggiore libertà di parola, e manifestava un’insofferenza verso l’autorità. La libertà di parola divenne uno strumento per mobilitare l’azione sociale, per contrastare ingiustizie e contraddizioni. Agli studenti di Berkeley si ricollegarono altri movimenti, studenteschi e non, militanti non violenti inizialmente, ispirati ai principi costituzionali sostanziali e non meramente formali. I fermenti non si sopirono, anche se negli anni successivi ebbero minore clamore, sino al famoso 1968, quasi paragonabile al 1848 risorgimentale che vide l’Europa infiammata dai moti rivoluzionari per l’ottenimento delle Costituzioni.
Il 18 maggio 1968 migliaia di studenti occupano il Campus universitario di Berkeley nell’intento di fermare i procedimenti giudiziari contro 866 studenti che si erano rifiutati di partire per combattere in Vietnam.
Nello stesso giorno studenti della Columbia University di New York, occupano l’università per protestare contro la requisizione “per utilità pubblica” di un campo giochi per bambini in un’area abitata quasi esclusivamente da popolazione afroamericana. I due eventi, apparentemente scollegati, erano indicativi di un sentimento di protesta più generalizzato. Erano riconducibili agli scioperi, in atto dall’inizio degli anni sessanta, contro la guerra fredda e la proliferazione nucleare. Influirono, inoltre, le azioni dei Freedom Riders contro il segregazionismo negli stati del Sud. I Freedom Riders erano gruppi di studenti organizzati, bianchi e di colore, provenienti soprattutto dal nord e dall’ovest degli Stati Uniti, che si recavano negli stati del sud per “de-segregare” materialmente i luoghi pubblici con atti anche violenti mediante azioni pericolose supportate da un’accurata preparazione. Gli eventi del maggio a Berkeley avviarono sia una parziale radicalizzazione, sia un’estensione delle proteste dai Campus privati alle Università statali sino a quel momento fredde nelle proteste. Il movimento seguì per il biennio seguente sino alla sua massima espansione nel 1970 a causa dell’uccisione, da parte della Guardia Nazionale, di quattro studenti nella Kent State University dell’Ohio. Nei giorni successivi l’ostilità contro la guerra del Vietnam raggiunse l’apice con ben quattrocento Campus occupati dagli studenti e altri due ragazzi uccisi dalla polizia a Jackson, nel Mississippi.
Alle rivolte di Berkeley furono quasi contemporanee le proteste degli universitari francesi che iniziarono a manifestare contro le regole che impedivano la libera circolazione di ragazzi e ragazze negli edifici e nei dormitori. Inoltre, si opponevano ad un progetto di riforma della scuola (piano Fouchet) che mirava a renderla più selettiva, riducendo il numero degli studenti universitari.
Anche in Italia, sulle scie statunitensi e francesi ebbero, inizio le proteste studentesche e le lotte operaie finalizzate ad ottenere migliori condizioni di lavoro e salariali. A quel periodo risale lo Statuto dei Lavoratori. Non poche furono le occupazioni universitarie; la prima fu all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. La causa principale di queste proteste risiedeva nell’aumento delle tasse universitarie. Gli universitari italiani vennero poi chiamati “i sessantottini”.
Di fatto studenti ed operai, erano politicamente schierati e culturalmente impegnati. Fu la generazione protagonista di quello che è stato definito “l’autunno caldo” per il clima acceso dalle continue proteste. In Italia, meno in Francia e Germania, seguirono gli anni bui del terrorismo.
Pertanto, cosa vogliamo dire alla presidenza statunitense? Attenzione, dalle proteste studentesche può nascere un fenomeno che potenzialmente si potrebbe dilagare in tutto il Paese raccogliendo le proteste e le istanze di tanti gruppi sociali. La ventilata pericolosità della cultura di cui parla la presidenza USA può innescare una protesta generalizzata nel campo dei diritti civili. Rileggere il passato non è un’idea peregrina.