Il non proprio empatico Elon Musk finalmente un merito ce l’ha. Per un attimo ci ha fatto credere che abbiamo ancora una compagnia telefonica che ha un peso sul mercato e che si sa far valere.
La circostanza ha sbalordito anche TIM, il cui andamento sul mercato azionario è la rappresentazione grafica dell’elettrocardiogramma di un cuore che si sta spegnendo. La realtà che un tempo era apprezzata protagonista del mondo delle telecomunicazioni per qualche istante ha provato l’emozione di una vitalità ormai dimenticata.
Musk accusando TIM di aver bloccato l’incedere del suo colonialismo digitale ha donato un rigurgito d’orgoglio, subito interrotto dalla disponibilità di alcuni personaggi di Governo dichiaratisi pronti a mediare a favore dell’imprenditore sudafricano.
Quello che ha riempito il nostro cielo con (finora) 5.500 satelliti, ha presentato un ricorso all’Autorità Garante per le Comunicazioni ed ha sollecitato il dicastero delle Imprese e del Made in Italy, lamentando la frapposizione di ostacoli tecnici da parte di TIM all’attuazione di un benefico progetto di Internet veloce.
All’ex monopolista del servizio telefonico nazionale sarebbe bastato poco per mandare in crisi Starlink e il suo padrone. Telecom Italia (o TIM che dir si voglia) non avrebbe condiviso le informazioni relative allo spettro delle frequenze utilizzate per la trasmissione di dati e fonia, informazioni indispensabili per evitare interferenze e soprattutto per individuare i “canali” liberi su cui lavorare (e diffondere il proprio “segnale”).
La politica italiana si è recentemente mostrata molto deferente nei confronti dell’onnipotente miliardario e ha assistito con infantile ammirazione ai suoi giochi di prestigio volti a dimostrare performance sbalorditive delle sue soluzioni tecnologiche. La “demo” di una “connessione a Internet via satellite a 700 Mb in download” avrebbe incantato gli interlocutori, non meno di quanto le collanine colorate abbiano storicamente entusiasmato aborigeni pronti a cedere oro e ricchezze pur di entrarne in possesso.
Internet è importante e lo è ancor più se disponibile per tutti. Gli addetti ai lavori parlano di “zone rurali” per indicare le aree a ridotta densità abitativa che sono penalizzate dalla mancanza di reti sul territorio. Il ricorso allo “spazio” può rimediare alla carenza di infrastrutture tradizionali e quindi qualcuno vede di buon occhio l’intraprendenza di Elon Musk.
Nessuno, però, riconosce l’avvento di un nuovo imperialismo.
La non brillante istruzione di chi ha le redini del Paese non permette di tradurre dal latino ed applicare il “timeo danaos et dona ferentes”.
Il ridotto aggiornamento sugli eventi di cronaca internazionale, poi, non consente di capire con chi si ha a che fare e nemmeno di immaginare la sua possibilità di disconnettere tutto e tutti con un semplice “clic”.
Chi ritiene indegna una simile demonizzazione del signor Musk è il caso che faccia un salto indietro solo di qualche mese.
Lui, il mecenate che aveva generosamente messo a disposizione degli ucraini la sua rete Starlink per evitarne l’isolamento dal resto del pianeta, è lo stesso che nel 2022 spense i satelliti per evitare ai droni di Kiev di attaccare la flotta militare russa a Sebastopoli…
Senza affrontare le annose questioni del Golden Power o della riservatezza delle comunicazioni già pregiudicata dagli apparati cinesi che amministrano le nostre reti, si provi a riflettere se è il caso di affannarsi per far ritrovare il buon umore a chi ha già l’interruttore per lasciarci al buio o nel silenzio più assoluti.
Forse non abbiamo bisogno di Musk, ma di ritrovare quel tanto sbandierato “orgoglio italiano”. Si potrebbe cominciare ripopolando TIM di persone capaci, perbene e visionarie quel tanto che basta. Sarebbe il sasso nelle mani di Davide o se si preferisce, visti i tempi, di Balilla.