E’ stato sospeso l’accordo di Schengen, quello della libera circolazione dei cittadini europei nell’ambito degli spazi comunitari. E’ stata “blindata” la linea di confine con la Slovenia. Sono stati rafforzati i controlli nei confronti di chi arriva dall’estero.
Il Governo ha adottato una serie di iniziative che fanno immaginare la costruzione di un recinto di protezione. A qualcuno viene in mente che certe “infrastrutture” arrivino dopo che i buoi sono scappati o – nella fattispecie – siano entrati nel territorio. La manovra – repentina come lo scatto atletico di un non deambulante – dà l’impressione di non essere tempestiva e ricorda chi assonnato si alza dal letto e non trova le ciabatte…
La natura dei “buoi” è facile ad immaginarsi. A suggerirne la “razza” è l’aritmetica più elementare, quella del notorio “due più due fa quattro”. Scattata l’emergenza terrorismo si è portati a temere che qualche persona poco raccomandabile sia riuscita ad arrivare in Italia e possa esibirsi in qualche cruenta performance.
Le paure, di questi tempi, sono tutte legittime. Quella generata dal rischio di un attentato è seconda solo all’angoscia di una Terza Guerra Mondiale.
Ben vengano le azioni a contrasto di qualsivoglia pericolo. Ben venga la tempestività e, ancor più, la capacità predittiva vitaminizzata dall’intelligence e dal controllo delle aree di interesse.
La manovra a Nord-Est ha fatto strabuzzare gli occhi a chi per anni si è fatto convincere che il cancello spalancato fosse Lampedusa e che la minaccia avesse un suo itinerario predefinito che solcava il mare. A indirizzare l’attenzione collettiva in quella direzione sono stati personaggi che riescono a tornare a casa solo grazie a Waze o ad altro sistema di navigazione satellitare. E tante persone hanno cominciato a credere che la piccola isola fosse il varco di ogni genere di guaio.
A metà degli anni Ottanta in prossimità dei valichi di confine delle province di Trieste e di Gorizia ogni notte decine e decine di persone tentavano di entrare in Italia per poi raggiungere la loro destinazione. Un duello sotto la luce della luna tra disperati e forze dell’ordine che – appostate – cercavano di intercettare i clandestini. Sulla scena anche i “graniciari” (ovvero le guardie militari di frontiera della “ex-Jugoslavia”), pronti a sparare a chi veniva avvistato dalle torri di osservazione, e improvvisati tassisti che con auto e pulmini non esitavano a speculare sullo sconforto per portare i “passeggeri” ad una stazione ferroviaria o in altre località “sicure”.
Chi è stato da quelle parti – io vi ho fatto servizio dal 1984 al 1988 – ricorda quelle scene e sa bene come si trattasse di un fenomeno cronico e non di ondate “acute”.
Molti disperati prendevano la “gomulka”, il treno locale che andava da Sezana ad Opicina, pur sapendo di andare incontro al controllo di polizia al loro ingresso nel nostro Paese. Quel trenino seguiva un percorso tortuoso e in alcuni punti era costretto a significativi rallentamenti che ne riducevano la velocità a passo d’uomo. Proprio in quei momenti qualcuno – rotti i sigilli dei comandi manuali dei vagoni – faceva scattare l’apertura delle porte e subito la gente saltava giù dal convoglio rotolando nelle doline accanto ai binari…
Ho visto l’ultima volta quelle scene trentacinque anni fa, l’ultima non perché siano finite ma solo perché mi sono trasferito a Roma. Probabilmente il tratto che va da Rabuiese, dalla Val Rosandra fino ad arrivare a Nova Gorica e oltre non è diventato impermeabile nel frattempo. Anzi.
Fa piacere che adesso si sia preso in considerazione il problema. Lo si deve ai buoi fuggiti?