Ho fatto un esame di coscienza. Sulla storia del famigerato INPS-DOWN potevo effettivamente “andarci giù” con la mano molto più pesante.
Sono stato ingiusto con i lettori e soprattutto con me. E allora ho pensato ad un ravvedimento operoso, tornando sulla questione, così da aiutare chi segue INFOSEC.NEWS a capire qual è davvero la situazione….
La storia ha un fil rouge comune a molte Amministrazioni statali, la dannata esternalizzazione che ha dissanguato il committente pubblico e mortificato le risorse interne il cui valore (spesso inestimabile) è stato calpestato senza pietà o riguardo di sorta.
Ne parlo con cognizione di causa, con quattro anni trascorsi all’Ufficio Informatica del Comando Generale GdF, uno al fianco dell’indimenticabile Gianni Billia, segretario generale alle Finanze, nel cercare di “mettere giudizio” al fornitore unico (che percepiva percentuali incredibili di mark-up per anticipare il pagamento di qualunque cosa, bollette comprese), dieci all’Authority per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, prima di andare a fare lo sbirro nei quartieri malfamati della nascente civiltà digitale.
Il dipendente pubblico non può essere talentuoso perché un simile riconoscimento potrebbe sovvertire gli assetti gerarchici costruiti meticolosamente per garantire al vertice persone devote, anche se meno brave di chi soffre nella “sala macchine” di qualunque organizzazione. A questo si aggiungono il fin troppo scontato “nemo propheta in patria” e il principio che l’interlocutore vale quel che si fa pagare per le sue prestazioni. Un programmatore o un analista che lo Stato paga poco più di mille euro al mese potrà mai competere con chi pretende la stessa cifra (o magari il doppio o il triplo) al giorno?
Ricordo miei formidabili colleghi d’ufficio al CED in Fiamme Gialle che il mio capo ufficio azzittiva per dare la parola al costosissimo consulente di Honeywell Bull prima e IBM poi. Ho capito allora (sono passati oltre trent’anni) che bastavano una giacca e una cravatta, un piglio deciso, qualche termine esterofono e pochi altri accorgimenti per vincere la partita. Lo storico complesso di inferiorità del “travet” pubblico ha fluidificato questa perversa evoluzione.
La GdF vantava una autonomia straordinaria in fatto di sviluppo delle procedure, ma poco alla volta si sono spenti – quasi fossero candeline sulla torta – le migliori professionalità. E’ stato così dappertutto e la P.A. è divenuta una riserva di caccia, nella convinzione che non si poteva fare a meno di chi arrivava da chissà dove con il coniglio pronto a saltar fuori dal cilindro.
Il buon senso e la correttezza avrebbero voluto che lo Stato disegnasse il proprio futuro, selezionando i più bravi, specializzando i più meritevoli, aprendo la strada a chi ne aveva la capacità, formando strutture non “vendor-dependent”. I ministeri sono stati presi d’assalto e trasformati in feudi le cui cinte murarie erano costituite da accordi e contratti blindatissimi. Ricordo come certi dicasteri fossero stati spartiti tra determinati fornitori, tutti disciplinatamente d’accordo sul non invadere il campo altrui e non tentare il ribasso in contesti ormai al guinzaglio.
Torniamo all’INPS. Ma davvero c’era bisogno di affidarsi mani e piedi ad aziende private al punto che già anni fa c’era chi definiva l’ente una “cuccagna” per i fornitori?
A gironzolare sulle pagine web degli aggiudicatari l’esperienza con INPS è tutta un trionfo.
Si rimane increduli nel vedere “casi di successo dei clienti” e leggere che “Accenture ha aiutato l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) a effettuare la migrazione da AS/400s alle tecnologie Web e ai sistemi operativi aperti che utilizzano Microsoft .NET, consentendo all’ente di registrare una netta riduzione dei costi operativi e di sviluppo e di migliorare sia l’efficienza che la produttività”.
Se la migrazione alle tecnologie web ha migliorato l’efficienza e la produttività, cosa sarebbe successo se non ci fosse stato un tanto provvidenziale supporto del fornitore?
Allora dov’è il problema?
L’aggiudicazione delle gare d’appalto mostra troppi soggetti per far immaginare un disegno ben coordinato della digitalizzazione e lascia trasparire l’assenza di qualsivoglia unitarietà di progetto.
La cosa carina (?!?) è che – come il committente pubblico – gli interlocutori privati non riescono nemmeno loro a fare tutto da soli e hanno necessità di accorparsi in “raggruppamenti temporanei di imprese”.
La cosa ancor più carina è che i diversi RTI partecipano sostanzialmente a tutte le gare (qui a titolo di esempio un “esito di gara”) e poi ciascuno se ne aggiudica una porzione o “lotto” che dir si voglia (vedansi quanto è riportato sul sito dell’INPS oppure quel che più recentemente è apparso sulla Gazzetta Ufficiale).
Nonostante questo evidente affollamento, non mi sembra di aver visto, letto o sentito dire che uno di questi “raggruppamenti temporanei” abbia fatto un passo avanti per dire che qualche piccola responsabilità nella vicenda è da attribuire al lavoro fatturato all’Istituto di Previdenza.
La storia degli hacker, tutto sommato, deve essere sembrata vantaggiosa per tutti.
Siccome a certe fantasiose ricostruzioni non ci credo e – poco alla volta – ho scoperto di essere in ottima compagnia, mi aspetto che qualcuno ammetta di aver sbagliato qualcosa.
Come il maestro di un vecchio spot di profilattici, attendo di vedere che dai banchi dei consulenti e dei fornitori si alzino tutti – uno alla volta – e alla domanda “di chi è questo (errore)” rispondano senza vergogna “è mio, è mio…”