Volevo “titolare” emulando Il Male e il suo “Ugo Tognazzi capo delle BR”, provando a sparare “Antonio Albanese leader di Hamas”, ma il rispetto per il leggendario settimanale satirico ha bloccato la mia tastiera prima che profanassi la memoria di una “fake news” memorabile e inimitabile.
La realtà, però, a volte supera la fantasia: di questi tempi non si può evitare il naturale sbigottimento oppure non c’è da stupirsi affatto?
La tormentata atmosfera di belligeranza mediorientale improvvisamente cambia tonalità e alterna tenui sfumature rosa a lampeggi di luci rosse.
L’ultima trovata di certi birbaccioni palestinesi è stata quella di creare sei account sui social apparentemente riconducibili a “ragazze scollacciate”, quelle che il colonnello Buttiglione (scusatemi, lo show radiofonico “Alto Gradimento” ha intaccato la mia adolescenza) riferiva affollare le “pubblicazioncelle leziose” tanto amate da piantoni e centralinisti della caserma Zanzibar.
I profili (e a onor del vero anche le altre prospettive…) delle fanciulle hanno irretito le truppe israeliane, inducendo i militari ad installare una serie di “app” sui rispettivi smartphone. Le applicazioni, che avrebbero consentito di stabilire un contatto diretto (e non solo virtuale) con le prosperose giovanissime, erano in realtà una sorta di cavallo di Troia che rapidamente infettava il dispositivo su cui venivano installate.
La notizia arriva dalla Israeli Defence Force (IDF) che ha rilevato il propagarsi dell’infezione tra gli smartphone dei soldati e avviato una serie di contromisure per evitare il peggio.
Gli investigatori della “ Tsva ha-Hagana le-Yisra’el ” (o comunemente identificata con l’acronimo “Tzahal” oppure con la sigla IDF) hanno provveduto al “tracking” delle attività innescate dal malware e sono riuscite risalire alle unità cibernetiche del quartier generale di Hamas.
Il portavoce di “Tzahal” o IDF che dir si voglia, brigadier generale Hild Silberman, ha spiegato che gli account erano riconducibili a Sarah Orlova, Maria Jacobova, Eden Ben Ezra, Noa Danon, Yael Azoulay e Rebecca Aboxis.
I militari, invece di mantenere ferrea resistenza di omerica ispirazione, hanno abboccato al richiamo delle sirene digitali e inebetiti dalle flautate conversazioni e dai sempre più intriganti scambi di messaggi su Facebook, Instagram e Telegram hanno colto il suggerimento di installare una applicazione grazie alle quali avrebbero potuto ricevere foto molto più esplicite dalle loro avvenenti interlocutrici.
Le applicazioni in questione sono “Catch & See”, “Grixy” e “Zatu”, e al termine dell’installazione avrebbero dato l’impressione di non funzionare, mostrando sullo schermo dell’utente appena abbindolato un messaggio di “crash” del sistema e inducendo al riavvio del dispositivo.
L’icona della “app” spariva misteriosamente dallo schermo dei telefonini, ma le istruzioni maligne continuavano ad essere attive in sottofondo o “backgroud” come dicono i più esperti.
Il malware, inoculato a chi sperava di ricevere effusioni e magari intraprendere indimenticabili avventure erotiche, era in grado di addentare il contenuto dello smartphone andando a succhiare – quasi fosse un vampiro – fotografie, messaggi di testo, contatti, localizzazioni e altre informazioni che venivano poi inoltrate ad Hamas per la memorizzazione, la classificazione e l’eventuale utilizzo ai fini di intelligence. Tra le tante cose il virus in argomento era anche capace di scattare foto e di acquisire lo “screenshot” ovvero procedere alla riproduzione di quanto visualizzato sullo schermo.
Se l’irresistibile forza attrattiva del “pilu” ha permesso questo tiro mancino, va detto – e qui la gravità della situazione – che non è la prima volta che Hamas riesce ad affabulare i malcapitati di turno. Era già successo nell’estate del 2018 quando in occasione dei Mondiali di calcio, una “app” che sembrava imperdibile (e che invece era una trappola) era stata piazzata sul Play Store di Google accalappiando un mucchio di israeliani inconsapevoli che la loro passione sportiva li aveva portati fuori strada…
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