L’altroieri ad Ancona si è tenuta l’ennesima conferenza nazionale sulla sicurezza informatica organizzata. L’evento all’Università Politecnica delle Marche è stata l’occasione per consentire ai rappresentanti del Governo di affrontare temi drammatici con lo stessa invidiabile leggerezza con cui si contrastano la crisi economica, i disastri occupazionali, i dissesti finanziari e le tante piaghe bibliche che affliggono il nostro ormai genuflesso Paese.
Un’occasione (direi “irripetibile” se certi incontri non si manifestassero con una frequenza incalzante) per dire quanto siamo bravi e ribadire priorità politiche che già dopo il primo tramezzino del coffee-break si sono eclissate.
Incapaci di prendere in esame l’ “affaire Huawei” e tante altre questioni che funestano l’orizzonte digitale, ci preoccupiamo di annunciare bellicosi propositi sul fronte cibernetico con dichiarazioni che ricordano quelle della “Campagna di Grecia” e regalano un sorriso al pensiero della parodia cinematografica che ne fece il principe De Curtis in “Totò contro Maciste”.
L’indimenticabile allocuzione «Tebani, abbiamo lance, spade, frecce, mortaretti, tricche tracchi e castagnole. E con queste armi potenti, dico armi potenti, noi, noi, spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e i suoi fratelli! Valoroso soldato tebano, mio padre da lassù ti guarda e ti protegge. Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo» (che chi non ha visto può gustare su Youtube) rende l’idea della distanza incolmabile che ci separa dalla concreta capacità operativa in uno scenario tutt’altro che rassicurante.
Nonostante i toni roboanti di certa stampa che ha riportato la notizia, la strada è ancora lunga. Troppo lunga.
Fa piacere che il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano dichiari che “la Farnesina e l’Ice, insieme agli altri organismi e ministeri competenti, lavorano per promuovere e per proteggere il Paese e le aziende di punta in questo settore”. Non si può fare a meno, però, di chiedersi perché tale sponsorship non venga orientata per sfornare tecnologie “nostrane” in un contesto in cui cinesi ed altri stranieri sono fornitori pressoché incontrastati delle Forze Armate, della Pubblica Amministrazione, delle società di telecomunicazioni, degli erogatori di servizi essenziali, delle aziende strategiche.
Se la situazione divergesse mai da quel che sto scrivendo, la paura di Huawei, ZTE & C. si potrebbe considerare archiviata in barba ad americani, britannici e tutti gli altri che ancora ci stanno combattendo.
Encomiabile e per certi versi struggente il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, ingegnere da anni appassionato di questi temi, secondo il quale “tra gli obiettivi a breve termine della Difesa, c’è quello di rendere operativo il nuovo Comando delle Operazioni in Rete per la condotta di operazioni di difesa del cyber spazio”.
Mi occupo di queste cose non proprio da ieri (con Roberto Di Nunzio nel 1996 abbiamo scritto “Cyberwar, la guerra dell’informazione” con la prefazione di Beppe Grillo e nel 2001 “Le nuove guerre” edito dalla Biblioteca Universale Rizzoli) e ho avuto modo di confrontarmi con chi – come la buonanima dell’indimenticabile professor Ferrante Pierantoni (autore di “Combattere con le informazioni” nel 1998 e di “La guerra incruenta” nel 2001) – di queste cose parlava con apprensione già un quarto di secolo fa e certo non davanti ad un calice di prosecco nel corso del “light lunch” a questo o quel simposio.
Comprendo che la politica si basi su annunci, capisco che l’incapacità di fare discorsi programmatici abbia trovato in Twitter la possibilità di cavarsela con telegrafiche e assertive dichiarazioni lampo, ma qui non si sta giocando a Risiko oppure ad una versione militarizzata del Subbuteo.
La fragilità della nostra povera Italia, che qualcuno positivamente guarda come all’avanguardia, è dimostrata dalle banalità quotidiane. Ne è testimonianza la paralisi dei trasporti dopo l’orribile incidente ferroviario ieri nel lodigiano che ha mandato in tilt non solo l’alta velocità ma la mobilità settentrionale.
Se non vogliamo finire con il fare i pupazzi di un calciobalilla – dove sono altri a giocare la partita – si dovrà passare dalle parole ai fatti, magari senza strombazzare nulla in anticipo e piuttosto richiamare l’attenzione sui primi risultati raggiunti.