Chiediamo soccorso all’espressione latina “repetita iuvant”, talvolta seguita da “sed secant” o “sed stufant”. Semplicemente repetita iuvant, perché non secca o stufa, lo si dedica alle persone uccise da armi, malattie, fame, sete nella Striscia di Gaza. I gazawi si stanno lentamente ed inesorabilmente assottigliando di numero, forse qualcuno spera di risparmiare sui costi della ventilata deportazione in altri siti.
Più volte in queste colonne si è affrontato il dramma del popolo palestinese, da non confondere mai con i terroristi di Hamas o di altri gruppi islamisti che seminano morte in tante parti del mondo.
Troppi si stanno lasciando pervadere da indifferenza ed assuefazione agli orrori dello sterminio a Gaza. Si legge di bambini, non di malati terminali, che vogliono morire per essere, forse, felici in cielo o nuovamente vicini ai genitori che hanno visto morire sotto le macerie o di fame o colpiti da proiettili. Bambini che invece di giocare o gioire, come la quasi totalità dei bambini che hanno la fortuna di non essere nati in zone di guerra, vogliono in tal guisa smettere di soffrire.
Quali colpe hanno per essere nati nel posto sbagliato e nel momento sbagliato? Quali traumi, se riusciranno a sopravvivere, si radicheranno in loro? Quanto odio e rancore si cementerà nelle loro menti ed anime? Si stanno allevando dei possibili “odiatori” per quanto da loro subìto? Quali saranno le problematiche di memoria e comportamento se riusciranno a diventare adulti? Qualsiasi siano le risposte a queste e tante altre domande la sicurezza è che sta crescendo una generazione con un futuro incerto e doloroso.
Sembra un sadismo esasperato, non confinato alla sola Gaza, anche se nella Striscia è più evidente poiché lo sentiamo e leggiamo quotidianamente. Le stragi continue per armi, fame, sete e malattie sembrano la conseguenza di un progetto finalizzato all’eliminazione fisica ed allo spostamento di popolazioni che alla fine potrebbero cedere per disperazione. Cosa si spera di raccogliere tra chi avrà la fortuna di sopravvivere? Si sta decimando una popolazione più che annichilire Hamas; colpire il terrorismo non lo si fa sparando nel mucchio, lo si fomenta.
Si aspetta forse di radere al suolo quel poco che è rimasto per ricostruire e deportare i sopravvissuti. Dai profitti in armamenti si passerà ai profitti nella speculazione edilizia. Sempre di sete di denaro si tratta. Già, tanto per ricordare un’altra espressione latina: pecunia non olet.
La reazione di Israele, inizialmente legittima, si è trasformata in spropositata contro la popolazione civile e ha generato un mostro. Se inizialmente tutti erano vicini al popolo israeliano, le scellerate scelte del Governo hanno sollecitato e riportato alla luce un nefasto antisemitismo. Purtroppo non pochi confondono l’antisemitismo o il popolo di Israele con il Governo israeliano che sembra pervaso da una visione messianica.
Si potrebbe produrre un effetto perverso: odio verso gli ebrei e non duro dissenso verso le scelte di un Governo che nega anche l’esistenza della carestia nonostante i morti per denutrizione e malattie, moltissime derivanti dalla mancanza di cibo e della sua inaccettabile qualità, senza parlare delle acque e dell’igiene. Molti intellettuali ebrei, oltre a una crescente area della popolazione civile e dei militari, si dissociano, all’interno ed all’estero, dalle scelte governative.
Come la gran parte degli Stati facenti parte dell’ONU ha già fatto, una soluzione sarebbe riconoscere lo Stato della Palestina e non procedere con la cancellazione di territorio e popolazione. Ovviamente molto c’è da fare in termini di trattative per gli ostaggi, cessate il fuoco ed altro.
La diplomazia deve accelerare al massimo per il bene di bambini, madri e uomini. Ma si è ancora in tempo? Per questo repetita iuvant ogni giorno. Anche il nostro Presidente della Repubblica, da sempre amico di Israele, in ogni occasione pacato nelle parole, ha definito la: “situazione drammaticamente sempre più grave ed intollerabile”.
Ricordiamo, per pennellare l’animo di troppi, la poesia “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo:
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.