Adesso che hanno smesso di scrivere quelli che hanno saputo solo copiare la sua pagina di Wikipedia e che dalla Chiesa degli Artisti sono usciti gli immancabili farisei, possiamo salutare e ringraziare Giancarlo Santalmassi a riflettori spenti.
Non è certo un compito facile pur facendolo con il cuore. Vedi mai che sia vero che “lassù ci si collega da Dio…” come qualcuno enfatizza la connessione a Internet dal Paradiso.
Le parole sono soltanto due. Grazie e ciao. Ed entrambe le espressioni sono tanto laconiche quanto colme di significato. Due rintocchi della campana che segna lo scorrere della vita.
Grazie
Le radici della gratitudine sono davvero tante, le stesse che accrescono il peso della sua scomparsa, le stesse che aiutano a continuare a seguire il suo esempio che purtroppo ha professionalmente trovato pochi emuli.
Grazie per aver fatto il giornalista da vero giornalista. Non è una frase scontata, ma pregna di valori.
Nel desolante scenario in cui la maggior parte di quelli che fanno quel mestiere hanno più calli sulle ginocchia a forza di star genuflessi che lividi per le bastonate dei potenti, è forte la nostalgia di Giancarlo che – alle promesse di un ministro delle finanze che assicura meno tasse e altri miracoli – chiede dove il politico pensi di trovare i soldi per poi garantire i servizi al cittadino. Il silenzio dell’imbarazzato interlocutore rimbomba ancora…
Mille volte Santalmassi ha anteposto il sacro ruolo dell’informazione corretta e leale agli immancabili benefici che può trarre chi ebbro di adulazione e servilismo tradisce il lettore, lo spettatore e persino se stesso.
Giancarlo, forse anche complice un carattere un po’ burbero, ha insegnato che il giornalismo si fa con l’inchiostro o con la voce e non con l’incenso dei ruffiani e con la saliva del leccapiedi. L’hanno imparato in pochi, quelli che pagano quotidianamente questa loro “indisciplina” in una società che può vantare mille aggettivi ma non l’abbinamento al vocabolo “civile”.
Se il profilo etico di una certa professione ha scarso rilievo di questi tempi, anche chi preferisce ruoli più allineati, più comodi e più remunerativi, deve riconoscere che Santalmassi è una pietra miliare nell’erogazione di contenuti informativi: è lui ad inventare le formule di comunicazione capaci di ammaliare il pubblico televisivo e radiofonico e forse sarebbe stato il solo a poter guidare le truppe che dovrebbero contrastare l’informazione tutt’altro che democratica ai tempi dei social network a dispetto delle apparenze che accecano l’impreparato quisque de populo.
E’ stato lui a ritmare le giornate del rapimento Moro prima che la CNN mostrasse i muscoli delle news a ciclo continuo, a portare l’Italia a vivere in diretta il dramma di Vermicino, a pentirsi di aver creato l’aggiornamento immersivo che purtroppo nelle mani di tanti sciacalli ha generato la tv del dolore, a dar vita a Radio 24 tagliando le gambe a chi aveva il monopolio dell’informazione pubblica che vergognosamente ha poco alla volta abdicato alla propria missione istituzionale, a farsi cacciare per coerenza ed ostinazione, a far capire che si può non avere un padrone.
Ciao
Ciao. Ciao e non addio, perché quest’altro saluto lo si adopera per chi esce dalla nostra vita, per chi si perde di vista non solo fisicamente, per chi è destinato ad esser dimenticato. Siccome Giancarlo continua a rimanere tra noi, gli si può riservare solo il più cordiale ciao e ascoltare come una volta quel suo “ciao, amico mio” che ti faceva sentire importante e onorato.
Chi dice che se ne è andato un pezzo di radio o di televisione sbaglia, perché se ne è andato un pezzo di noi.
Chi semplicemente afferma che se ne è andato Santalmassi, sbaglia ancor più perché Giancarlo è vivo e in grande forma. Lo è in queste poche righe e nei pensieri che hanno generato. Lo sarà nelle chiacchiere che faremo domani, nei discorsi con gli amici, nei ricordi che non sbiadiranno.