Dovremmo prendere lezione da certi detenuti. Loro sì che conoscono il galateo e hanno un concetto della riservatezza senza dubbio più elevato di tanta gente che non soggiorna nelle nostrane strutture penitenziarie.
Lo spunto per questa riflessione ce l’ha data un rapper in occasione del One Day Music Festival sul palco della Plaia di Catania il primo maggio scorso.
La performance dell’artista di origini marocchine Zacaria Mouhib è stata un condensato di educazione civica che meriterebbe di diventare contenuto multimediale con finalità didattiche, roba da proiettare su tutte le lavagne LIM dell’intera costellazione di aule di ogni ordine e grado del panorama dell’istruzione nazionale.
Il cantante, noto ai più come Baby Gang, ad un certo punto dello spettacolo ha voluto dar prova delle dinamiche di reinserimento sociale di chi è costretto in carcere nella fattispecie dal 2022 per evasione e spaccio di sostanze stupefacenti.
E’ bastato prendere lo smartphone e, mentre partiva una videochiamata, urlare ai ventimila ragazzini del pubblico “E’ mio fratello, voglio un cazzo di casino per Niko Pandetta”. I giovanissimi a quel punto – quasi fosse apparso loro un eroe da cui prendere esempio e di cui emulare le gesta – hanno cominciato a strepitare con entusiasmo trasferendo al recluso solidarietà e ancor più ammirazione.
Se il protagonista dello show ha fatto capire l’importanza del calore umano e della famigliare accoglienza nei confronti di chi corre il rischio di future difficoltà a ricollocarsi nel vivere quotidiano, il signor Pandetta ha insegnato il corretto uso dei dispositivi mobili in netto contrasto con la sguaiataggine che spesso caratterizza chi brandisce lo smartphone come una clava.
Il suo primo precetto – non svelato ma abilmente lasciato intuire – ha riguardato l’emblematica discrezione della sua suoneria. Non trilli fragorosi o motivetti tamarri che spesso risuonano nei momenti meno opportuni e addirittura nelle fasi clou delle celebrazioni eucaristiche e persino durante i funerali. Pare di aver capito che la “vibrazione” non disturba chi è nei paraggi, non distrae chi a pochi metri di distanza è impegnato in austeri compiti di controllo e vigilanza, non infastidisce i “colleghi” che l’unico “cellulare” che hanno a disposizione è quello blindato su ruote per le traduzioni da una struttura all’altra.
Il secondo messaggio educativo è quello di mantenere un tono di voce basso e garbato nel corso della conversazione perché solo i maleducati strillano e si fanno sentire anche da chi non è interessato a certe chiacchiere…. Oltre a non dar fastidio a soggetti terzi, il parlare sottovoce è suggerito anche dalle ormai quotidiane questioni di privacy….
Pare che Niko di smartphone ne avesse addirittura due, ma siccome è un gentleman, si è guardato bene dall’ostentarli lasciandoli spocchiosamente sul letto o sul tavolino della cella. Basta poco per non esser cafoni e questo episodio deve essere davvero di insegnamento.
Qualcuno, poco riconoscente verso un benefattore della nostra educazione, potrebbe domandarsi come mai un soggetto sottoposto a misure detentive avesse modo di comunicare con l’esterno addirittura in videochiamata, con Internet a disposizione e chissà che altro.
No, dai, non perdiamoci dietro a questi dettagli, dai…