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LA RECENSIONE DI UN LIBRO DI PIERO LAPORTA: RAFFICHE DI BUGIE A VIA FANI

Giuseppe Bodi di Giuseppe Bodi
07/08/2024
in RIFLESSIONI
LA RECENSIONE DI UN LIBRO DI PIERO LAPORTA: RAFFICHE DI BUGIE A VIA FANI
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TE LO LEGGO IO

Già dal titolo si comprende che il libro non è una delle tante consuete ricostruzioni degli accadimenti del 16 marzo 1978 in Via Mario Fani, dove venne rapito l’allora Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, poi rinvenuto morto il 9 maggio successivo in una Renault 5 rossa in Via Caetani a Roma.

A parere dell’autore sono state costruite una serie di falsità su quanto avvenuto quel giorno in Via Fani. Una piramide di menzogne, tese a coprire i mandanti dell’assassinio dell’On. Moro. Nessuno ha mai realmente cercato la verità sui tragici eventi di quel giorno e dei successivi. Non vi fu alcun tamponamento tra le autovetture della scorta. 

Secondo la ricostruzione del Laporta, l’On. Moro, al momento della strage, non era in via Fani, era stato allontanato lungo un viottolo, fatto dimostrato dal rinvenimento di sabbia nel risvolto dei suoi pantaloni. 

Giunto ad un’area adibita ad eliporto, venne caricato su un elicottero con destinazione provincia di Viterbo, una sosta intermedia, e poi Toscana dove sarebbe stato tenuto sotto sequestro. Solo dopo la partenza dell’elicottero si sarebbe consumata la strage. 

In via Fani non operarono elementi delle Brigate Rosse ma sicari professionisti con esperienza e capacità di fuoco non paragonabili a quelle dei brigatisti che non sarebbero stati in grado di uccidere i cinque uomini della scorta senza ferire l’On. Moro. Solo dopo lo statista venne a loro consegnato. 

Non mani o complotti esterni allo Stato italiano ma trame esclusivamente nazionali. L’autore ha analizzato le traiettorie dei proiettili deducendo che solo professionisti avrebbero potuto eseguire la strage mentre i brigatisti presenti hanno sparato a vanvera colpendo poco più che a caso e lontano. 

Bassam Ab Sharif, terrorista dai primi anni sessanta, aderente al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, poi vicino ad Al Fatah ed Arafat, in sede di Commissione parlamentare, ha dichiarato: “Le Brigate Rosse, attese le loro capacità di fuoco, non hanno rapito Moro, non avevano la possibilità di uccidere 5 uomini della scorta senza che Moro venisse ferito od ucciso”; alcuni collaboratori di giustizia delle BR hanno affermato che il loro addestramento era sommario ed avventuroso. I brigatisti rossi erano delle comparse sulla scena del crimine, attori servili di infimo livello operativo.

L’autore passa poi ad analizzare i dati relativi all’autopsia sul corpo. Lo statista sarebbe stato torturato ed avrebbe riportato fratture a quattro costole, in tempi diversi, nel corso del sequestro ed un edema cerebrale. I referti sarebbero non veritieri o manipolati.

Un complotto tutto italiano, l’autore li chiama Giuda, realizzato con la complicità di elementi perfettamente addestrati dei Servizi sovietici, gli autori materiali della strage. Gli altri Paesi stranieri avrebbero assistito passivamente per interessi diversi ma concomitanti.

Movente dell’omicidio dell’On. Moro sarebbe stato quello di impedirgli l’elezione a Presidente della Repubblica.

Laporta analizza tutti i particolari con certosina precisione per suffragare le sue ipotesi. Ugualmente fa con le lettere dello statista nelle frasi, nelle parole e nei verbi utilizzati, giungendo ad anagrammarne alcune frasi che sarebbero state utili per risolvere positivamente il rapimento. Tali analisi porterebbero a dimostrare le affermazioni dell’autore.

Centrale è la figura di Valerio Morucci che egli ipotizza uomo del SISDe. Ben venti appartamenti in via Gradoli sarebbero stati di proprietà di quel Servizio.

Le indagini sono state definite pasticciate, approssimative e negligenti. Le Forze Polizia furono inefficienti per manovre superiori?

Lo scritto è, a tratti, prolisso, irruente e, come chiarisce lo stesso autore, volutamente ripetitivo su alcuni fatti e concetti. Il linguaggio è diretto e non usa mezzi termini per le accuse e le ricostruzioni. La ricerca è più che minuziosa e molto interessante. Dare un giudizio sulle affermazioni sarebbe inopportuno e presuntuoso. 

Certamente l’autore non è un folle; è un acuto analista: forse non è tutto vero ma forse non tutto è falso. Il libro merita una giusta attenzione e riflessione critica. Unica perplessità è come un complotto di così ampia portata, qualora vero, possa essere rimasto del tutto coperto da una pietra tombale per tanti anni, considerando la scarsa tenuta dei segreti in Italia. 

Leit motiv dell’opera è la frase: “Quanto è non è quanto appare”.

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Giuseppe Bodi

Giuseppe Bodi

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