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COME LA VECCHIAIA E LA SOFFERENZA VENGONO GESTITE NELLA SOCIETA’ MODERNA

Gian Paolo Di Raimondo di Gian Paolo Di Raimondo
13/03/2024
in RIFLESSIONI
COME LA VECCHIAIA E LA SOFFERENZA VENGONO GESTITE NELLA SOCIETA’ MODERNA
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Disse papa Francesco nel messaggio ai partecipanti all’Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita del 20 febbraio scorso: “Una società è veramente accogliente nei confronti della vita quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo quando insegna che la chiamata alla realizzazione umana non esclude la sofferenza, anzi, insegna a vedere nella persona malata e sofferente un dono per l’intera comunità, una presenza che chiama alla solidarietà e alla responsabilità. È questo il Vangelo della vita che, attraverso la vostra competenza scientifica e professionale e sostenuti dalla Grazia, siete chiamati a diffondere“.

Purtroppo la società moderna in generale trascura del tutto anche in questo campo l’accompagnamento di sostegno ai vecchi e a chi soffre. Superata la famiglia patriarcale, dove si viveva assieme al vecchio fino al trapasso con l’amore delle nuove generazioni presenti, la vecchiaia e la sofferenza sono considerati impedimenti all’attuale ritmo di una società troppo indaffarata che rifiuta gli impegni dei vincoli affettivi, che non vuole ulteriori pensieri oltre a quelli con cui deve convivere giornalmente. 

Le famiglie sono gravate da oneri faticosamente superabili e il più delle volte non riescono, ma più spesso non vogliono, onorare l’ulteriore impegno d’amore verso i propri cari invecchiati o ammalati gravemente. Così si attua comunemente il sistema del parcheggio: i vecchi si parcheggiano nei cronicari – più delicatamente – chiamati “case di riposo” e i malati terminali negli hospice. E pensare che i vecchi non vorrebbero riposare in attesa della morte ma spendere, nei limiti delle loro forze affievolite, il tratto di vita rimanente assieme ai loro cari. E i malati, anche loro, vorrebbero spegnersi stringendo la mano di una persona di famiglia e non in una fredda camera di un ricovero per ammalati terminali.

Scrive Enzo Bianchi su “Il pane di ieri” nel capitolo “nascere e morire in comunione”: Ma come la nascita e la festa avvenivano in casa, nel quotidiano, così anche la morte era parte di quell’unico flusso vitale e familiare. Morire a casa propria era il desiderio del malato e dei parenti che tutto predisponevano a tal fine. Oggi, al contrario, la maggior parte delle persone muore in ospedale o al ricovero e tutto concorre affinché il malato concluda nell’estraneità di un luogo “altro” un’esistenza che sovente ha faticato a trovare un “focolare” attorno al quale edificarsi. Eppure, mentre ciascuno nasce senza averlo imparato, a morire si impara, e si impara soprattutto vedendo altri morire nella quotidianità, in comunione e nella pace.

Allora il tempo ha peggiorato il modo di rapportarci con la vecchiaia, la malattia e la morte? Noi cristiani dove abbiamo relegato gli insegnamenti evangelici? I nostri antenati certamente meno istruiti di noi, ma senz’altro più saggi, dicevano che non di solo pane vive l’uomo vive dello scambio continuo non solo di materia (il metabolismo), ma anche di informazione (comunicazione). E’ ovvio, quindi, che per mantenere viva l’intelligenza dell’anziano bisogna nutrirlo d’informazione affettiva. Solo un corpo in relazione è una persona fino alla morte: eliminandogli la relazione, l’anziano muore come persona prima che come struttura corporea.

Simone de Beauvoir nella sua opera “La terza età” del 1970, ritenuta un caposaldo della letteratura moderna sulla vecchiaia, affronta con un approccio antropologico-storico la condizione della vecchiaia, approfondendo due punti di vista: quello esteriore, cioè come la vecchiaia si presenta agli altri, e quello interiore, cioè il modo in cui la vecchiaia è assunta dal soggetto che la vive. Nella prima parte viene esposta un’analisi dettagliata della vecchiaia come fenomeno biologico con conseguenze psicologiche, e come fenomeno sociale, cioè l’autrice esamina quale ruolo l’anziano ricopra di volta in volta nelle società primitive, storiche e contemporanee. 

Nella seconda parte dell’opera considera la vecchiaia come fenomeno che ha una sua propria dimensione esistenziale; quindi cerca di descrivere come l’uomo anziano introietti il suo rapporto col proprio corpo, col tempo e con gli altri. Nota l’autrice: “Una desolata enumerazione delle infermità della vecchiaia la ritroveremo in tutti i tempi, ed è importante sottolineare come questo tema (nelle opere letterarie) sia ricorrente. Anche se il significato e il valore che vengono attribuiti alla vecchiaia variano tra una società e l’altra, cionondimeno essa rimane un fatto extrastorico che suscita un certo numero di reazioni identiche”.

Anche se non si vuole condividere quello che pensa papa Francesco della vecchiaia: “La vecchiaia è la sede della sapienza della vita”, non si può disconoscere, però, che gli anziani possono collaborare con i più giovani in modo costruttivo per migliorare la qualità della vita. L’esperienza quasi sempre è determinante per avviare proficuamente i processi di rinnovamento, evitare che si ripetano per esempio, gli errori del passato. Va bene creare nuove classi dirigenti di giovani, ma non dimentichiamoci dei vecchi, teniamoli in vita amandoli e utilizzandoli. Diceva Gabriel Garcia Marquez: “Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza”, sono d’accordo, ma con una piccola variazione, lo insegnerei ai giovani, i vecchi già lo sanno!

Un capitolo a parte sarebbe necessario aprirlo sulla malattia e la sofferenza. Sono estremamente convinto che bisogna alleviare, con le terapie adeguate, il dolore scatenato dalle malattie inguaribili; le più recenti ricerche intorno a fine vita e problemi bioetici annessi evidenziano che il desiderio di morte che caratterizza il dolore totale di molte patologie terminali può essere gestito e ridotto grazie alle cure palliative. 

Tale tipo di cura, infatti, volta non all’impossibile ripristino della salute ma alla riduzione dell’intollerabilità del dolore, permette di restituire, in misura diversa a seconda della patologia e del suo stadio, una qual forma di “benessere” al sofferente. L’eliminazione o la riduzione dell’insostenibilità del dolore riduce altresì la volontà di porre termine alla vita e dunque le richieste di eutanasia.

Credo che su questi due argomenti non si sia trovata una soluzione accettabile dalla gran parte delle comunità laiche e religiose insieme, spero comunque che le prossime generazioni non accantonino il problema e cerchino di legiferare in proposito. Che lo facciano però a livello nazionale, non a livello regionale come attualmente hanno provato a farlo alcune Regioni.

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Gian Paolo Di Raimondo

Gian Paolo Di Raimondo

Gian Paolo Di Raimondo nasce ad Ancona il 2 marzo 1936, svolge i suoi studi a Camerino, dove si diploma nel 1955. Dopo un primo periodo lavorativo da geometra in alcuni Comuni del maceratese iniziato nel 1956 e il servizio militare come Ufficiale carrista, nel 1959 è assunto in Olivetti Bull nel settore dell’automazione aziendale e da allora partecipa all’evoluzione tecnologica dell’informatica. Nell’hardware, dai sistemi a schede perforate ai computer e nel software, dai primi linguaggi e sistemi operativi a quelli sempre più evoluti. Cresce parallelamente nella carriera, passando dall’Olivetti alla Philips e alla Siemens. In tutte e tre queste aziende multinazionali dell’elettronica raggiunge ottimi livelli manageriali: Responsabile di un settore del Marketing dell’Olivetti, Direttore Vendite della Divisione “Data Systems” della Philips e Direttore Commerciale del Distretto Centro-Sud della Siemens Data. Uscito dal lavoro dipendente nel 1987, fonda da libero professionista la CISIT S.p.A. – Consorzio Interaziendale Servizi Informatici e Tecnologie – e ne assume la presidenza che mantiene fino al 2000, Dal 2000 al 2006 è Presidente della InfoGuard S.p.A. che opera nel settore della Sicurezza informatica in collaborazione con la Cripto A.G. svizzera. Nel 2006 (dopo 50 anni di lavoro produttivo) inizia a fare il pensionato a tempo pieno, massimizzando l’attività di volontariato con la Caritas e con altre Organizzazioni umanitarie Onlus operanti nel settore della donazione del sangue e degli organi (dal 13/12/2018 è anche membro del Comitato Operativo della Fondazione Italiana Promozione Trapianti d’Organo – FIPTO). Incrementa, inoltre, la collaborazione con giornali e con il sito “omelie.org/approfondimenti” con la scrittura di articoli di attualità. Per le benemerenze acquisite nella sua lunga vita lavorativa, quattro Presidenti della Repubblica – Cossiga, Ciampi, Napolitano e Mattarella – gli hanno conferito altrettante Onorificenze al Merito della Repubblica Italiana: Cavaliere, Commendatore, Grande Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce. Il Presidente Ciampi, inoltre, alla fine del suo lavoro dipendente lo premia con la Stella al Merito del Lavoro nominandolo “Maestro del Lavoro”. A completamento del suo curriculum vitae, degno di citazione è l’interesse dimostrato per l’approfondimento della sua cultura religiosa che lo porta ad ottenere diversi attestati conseguiti in corsi presso Università cattoliche: Pontificia Università Lateranense Roma – Attestato di formazione biennale per “Operatori della Carità” (26/09/2008). MARIANUM Pontificia Facoltà Teologica di Roma – “Mariologia Diplomate” per corso biennale di Mariologia (04/06/2012). Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Roma – “Diploma di Specializzazione in Studi Sindonici” (30/06/2013). Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Roma – a completamento di un corso biennale ottiene il “Master di 1° livello in Scienza e Fede” (21/10/ 2015).

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