Il social – considerato storico nel panorama dei perditempo online – si è vantato per anni di rimanere gratuito. A dispetto di questa promessa, per qualcuno ritenuta spergiura, Facebook sta inviando messaggi di segnale diverso che fanno balenare un inatteso pedaggio.
Anzitutto tranquillizziamo i “parsimoniosi”: se ci si vuol fare del male passando ore ed ore a disinformarsi su quella piattaforma senza spendere un quattrino, questa possibilità non verrà meno.
La proposta del gruppo Meta (che riguarda sia Facebook sia Instagram) è quella di un abbonamento mensile a 12 euro e 99 centesimi per chi vuole fruire del servizio senza vedersi bersagliato dalla pubblicità che si alterna in modo sensibile ai “post” di parenti, amici e conoscenti con cui si è in contatto.
L’approccio del colosso capitanato da Mark Zuckerberg è molto particolare perché si concretizza in una notifica agli utenti che esordisce con un apparentemente disinteressato “Fai una scelta relativa alle inserzioni” e poi spiattella il proprio piano di abbonamenti…
Non ho idea quanti siano i masochisti che – invece di spendere soldi per comprare libri o giornali oppure andare al cinema o a teatro – siano pronti a scialacquare 155 euro e 88 centesimi all’anno per frequentare Facebook senza inserzioni promozionali, ma ormai ho smesso da tempo di stupirmi.
Meta ha creato una versione dei suoi social priva di pubblicità e di tracciamento dei dati degli utenti per rispettare le norme sulla privacy dell’Unione Europea.
Nessuno potrà mai sapere se davvero Meta si asterrà dall’utilizzare in qualche modo le informazioni personali, ma la tariffa prospettata a chi aderisce dovrebbe far riflettere chi passa le sue ore su Instagram e Facebook.
La nostra riservatezza vale solo poco più di 150 euro? Oppure rende molto di più a chi vende i dati relativi alle nostre abitudini, opinioni, amicizie, relazioni, se trova un acquirente interessato al risultato delle operazioni di “profilazione”?
Non si pensi che le nostre informazioni siano destinate a semplici finalità commerciali. L’indimenticabile scandalo di Cambridge Analytica – che vide coinvolti proprio gli archivi di Facebook – dovrebbe aver fatto capire gli interessi di altro genere che sono in gioco.
Quel che scriviamo, i “mi piace” che piazziamo qui e là, i commenti ai post altrui e tante altre condotte sono appetibili ad esempio per partiti e movimenti politici in vista di tornate elettorali (le Europee sono alle porte…) o per Governi che vogliano avere un certo controllo degli “umori” dei cittadini.
Senza disturbare Orwell, che ne uscirebbe mortificato dalle attuali opportunità di schedatura, varrebbe la pena di accendere il cervello e frenare la caduta nel vortice digitale che sta risucchiandoci in una pericolosa gabbia apparentemente dorata.
A ragionare in questa maniera viene da sorridere e balza dalla memoria il ricordo di Verdone nei panni di Furio alle prese con l’afflitta consorte Magda nell’area di servizio in autostrada. Stavolta non si tratta di rischiare la salmonellosi o i bacilli, ma forse quel conclusivo “in bocca al vibrione” potrebbe non risultare eccessivo a chi sceglie di frequentare Facebook.
Non ci si preoccupi del fatto che sia a pagamento o gratuito. Lo si usi soltanto nella consapevolezza di aver accettato le condizioni di utilizzo (che nessuno ha mai letto seriamente) e di non conoscere il reale destino di quel che la piattaforma ha registrato…
Un minimo di prudenza non guasta. E qui non c’è il “copriwater sterilizzato” che Furio tira fuori dal bagagliaio della sua vettura…