Al terzo posto come fiume più lungo del continente africano, dopo Nilo e Congo, il Niger si snoda per 4.160 km., attraversa tre Stati dell’Africa Occidentale, sfociando poi nel Golfo di Guinea con un vasto delta: qui i problemi legati allo sfruttamento incondizionato dei giacimenti petroliferi (il 90% dell’export nigeriano) sono da anni noti e dibattuti, ma alquanto insoluti.
La Nigeria, ad oggi, al pari di altri Stati africani, costituisce uno dei punti geopoliticamente più critici del mondo; figura tra le dieci Nazioni più ricche di petrolio (e la prima in Africa), oltreché di uranio.
Da quando, verso il 1956-58, a ridosso dell’indipendenza dalla Francia, si intensificò lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, iniziarono i primi problemi sul Delta del Niger. Le compagnie di settore trivellarono collocando gli oleodotti in superficie, e non sotto il terreno, per cui le perdite di greggio furono da subito assidue, dovute a guasti vari, sabotaggi, o furti; le logiche conseguenze, dopo anni, non potevano che essere l’inquinamento del Delta, la contaminazione di falde acquifere e dell’atmosfera (complice il gas flaring), l’impraticabilità di agricoltura e allevamento, la distruzione di foreste causa incendi, ed altri danni ad elevatissimo impatto su ambiente e popolazione (aspettativa di vita circa 40 anni).
La zona del Delta del Niger, come altre zone del pianeta, è vittima di una cruenta distruzione ambientale che ha comportato l’annientamento di ecosistemi millenari, rovinando l’esistenza di tutti coloro che, da tempi immemori, traevano vita e sussistenza dalla loro simbiosi con il fiume, l’aria e le selve circostanti; gli abitanti (40 milioni di persone circa) hanno perso i terreni, crivellati dai pozzi, e hanno abbandonato i lavori agricoli senza, ovviamente, ricevere benefici economici dalle attività estrattive; le loro giuste rivolte sono state sempre soffocate nel sangue dai regimi dittatoriali succedutisi nel tempo (nel 1994 l’esercito uccise circa 2000 persone, distruggendo 30 villaggi).
Significativo notare che, secondo una stima della Banca Mondiale, la maggior parte dei profitti dell’oro nero sono andati ad arricchire meno dell’1% della Nazione (élite governative e militari).
Un report del 2019, presentato da un pool di esperti scelti dal governo nigeriano, denuncia che per anni sono stati gettati nel Delta del Niger circa 110.000 barili di petrolio, causando l’estinzione di varie specie animali ed egritudine grave, per tossicità, negli umani (come il decesso di 11 mila bambini all’anno).
Un caso alla Erin Brockovich, ma senza lieto fine, visto che niente è cambiato e di risarcimenti, neanche l’ombra, anche se denunce contro alcune compagnie petrolifere sono state presentate. Una di esse (Shell) ha affermato la propria innocenza dichiarando che gli sversamenti nel Delta risalivano ad anni precedenti e responsabili ne erano i criminali locali, tra sabotaggi e furti (in effetti il bunkering esiste, contrastato a stento dal governo nigeriano).
Nel 2021 la Corte dell’Aja ha condannato la filiale nigeriana di Shell a pagare un risarcimento, ma ovviamente sono partiti i ricorsi e pare che la compagnia abbia deciso, dopo circa ottanta anni di sfruttamento, di abbandonare il Paese (a luglio 2023 la Ong ambientalista ClientEarth ha perso la causa contro la Shell). Ricordiamo che comunque nel 2009 l’azienda accettò di sborsare un risarcimento di quasi 16 milioni di dollari, di cui 5 a favore della popolazione del Delta del Niger, somma assolutamente insufficiente a coprire anni di violenze verso l’ambiente e la popolazione, ma simbolicamente significativa.
Le comunità ambientaliste fanno e faranno il possibile per denunciare l’assenza di social responsibility delle compagnie petrolifere ma, giustamente, anche del governo del Paese, che comunque ha le sue responsabilità nella fallimentare gestione delle problematiche.
Purtroppo i danni provocati dall’industria del fossile non sono mai riparabili, ed a mala pena arginabili: infatti si parla di resource curse (maledizione delle risorse), termine che denota tutto il disastro derivante dallo sfruttamento incondizionato ed improprio delle risorse naturali, o delle fonti non rinnovabili.
Abbiamo già perso e stiamo perdendo molti biomi, come è successo nel Delta del Niger, dove neanche l’operato del Nigeria Oil Spill Monitor e della Hyprep, nata nel 2011 per depurare le acque del fiume, è risultato fattivo: non sono riusciti neanche ad arginare le perdite di greggio quotidiane.