A quanto pare, il melodramma che interessa Twitter, interessa solo chi ancora resiste e rimane su Twitter.
Gli altri, quelli a cui dei licenziamenti di massa, dei referendum alquanto insensati, dell’originale etica del lavoro “densa e intensa” del nuovo padrone delle Ferriere, chiedo scusa, dei servers, importa poco o nulla, gli altri dicevo, stanno trasmigrando verso altri lidi, o meglio altri social. Sempre che non l’abbiano già fatto.
A dire il vero, le possibili scelte non sono poi così tante.
C’è Mastodon che, con i suoi 20mila servers indipendenti, è il più grande social network decentrato Open Source. I messaggi su Mastodon possono avere fino a 500 caratteri e si può scegliere a chi renderli pubblici. Non raccoglie i dati degli iscritti, non ha pubblicità o algoritmi più o meno segreti che decidono cosa si deve vedere, assicura di avere solidi strumenti per favorire la privacy e limitare molestie. Grande inconveniente: non è semplice da usare.
Da citare Friendica che, come Mastodon, punta molto su privacy e personalizzazione. Fa parte della galassia dei Fediversi. Quindi chi si registra a Friendica può interagire anche con utenti di Mastodon, Hubzilla e altri software liberi della suddetta galassia. Però trovare qualche amico all’interno di questi social network è cosa complicata assai. Si rischia la mancanza di compagnia.
C’è Post, fondato da Noam Bardin, già amministratore delegato di Waze che tante multe ha evitato ai suoi utenti, che si presenta come “Una piattaforma social per gente vera, notizie vere e conversazioni civili”.
Ha ancora dei problemi di crescita, d’altronde sono solo pochi mesi che è in linea. Il che spiega perché non ospita attività particolarmente intense.
C’è Hive Social, sulla scena dal 2019, combinazione fra Instagram e Twitter. Secondo l’amministratrice delegata Kassandra Pop (non è uno scherzo, si chiama proprio così): “L’obiettivo è permettere agli utenti di restare in contatto con gli amici e la famiglia; abbiamo puntato sulla semplicità e sembra che alla gente il feed cronologico piaccia molto”. Anche per questa piattaforma è punto di onore dichiarare che il ruolo degli algoritmi è ridotto al minimo. Non è prevista una versione per personal computer. Solo telefoni cellulari. Meglio se con sistema operativo iOS, perché la versione dell’applicativo per Android ha molti problemi di affidabilità. I crash sono più la regola che l’eccezione.
Se si vuole rimanere in Europa, c’è il francese BeReal: “un modo nuovo e unico per scoprire chi sono veramente i tuoi amici nella loro vita quotidiana”. L’obiettivo è condividere con gli amici la vita reale, mentre sta accadendo. Si riceve una notifica sul telefono e si hanno due minuti di tempo per scattare e condividere una foto di voi stessi e una di dove vi trovate, qualsiasi cosa stiate facendo.
“BeReal è la vita, la vita vera, e la vita vera non ha filtri”, recita lo slogan del social. Su BeReal, a differenza di tutti gli altri social, non ci si può nascondere e limitarsi a osservare gli altri, ma si deve partecipare attivamente. Si possono infatti vedere le foto degli amici solo se si pubblica la propria.
Altra interessante novità è la funzione RealMoji che obbliga gli utenti a reagire a un post scattandosi un selfie espressivo, invece di selezionare le alquanto sciocche e del tutto impersonali icone del cuore, del pollice in su o della faccina che ride.
C’è però un social che non presenta nessuno dei problemi sopra elencati: LinkedIn.
Vero che è famosa per i suoi post compiaciuti e autocelebrativi, umili vanterie e racconti di dubbia realtà e moralità: vedi il famoso post del cane, 400 mila like e 80mila re-tweet per una storia del tutto inventata da Nikhil Narayanan. Consigliata la lettura. Andate in rete, digitate su motore di ricerca “storia cane LinkedIn” e la trovate.
Vero anche che può essere seriamente considerata un’alternativa a Twitter. Si sono materializzati gli influencer e pubblicano cose buone e giuste. Vedi Nicholas Thompson, amministratore delegato di The Atlantic (ed ex redattore capo di WIRED), che pubblica regolarmente video intitolati “The Most Interesting Thing in Tech”.
I post di LinkedIn stanno cambiando. Leggere quanto racconta qualcuno, con storia professionale e curriculum studiorum da intimidire, delle proprie vulnerabilità, con tono giusto e contenuto ponderato, insegna. Molto.
LinkedIn dichiara di avere quasi 900 milioni di utenti. Ci si ritrova a interagire non solo con colleghi di lavoro, ma anche con ex-compagni di scuola, di università, persone che si conoscono da un passato anche lontano. Nata come “rete professionale” LinkedIn riesce a fare fondere la propria vita lavorativa con quella sociale. Twitter non è stata mai capace di farlo.
Per chi è cresciuto, o invecchiato, usando Bebo, Myspace o Facebook, LinkedIn è molto familiare, visto che offre testo e immagini su un singolo feed di notizie, non richiede coinvolgimento attivo e consente modalità passive. Per i non esperti, il newsfeed, è l’elenco dei contenuti appena pubblicati su un sito web che mostra al singolo utente informazioni personalizzate, ritenute interessanti, invece di mostrarle tutte.
Certo è che se il problema con Twitter è che sia gestito dall’uomo più ricco del mondo (in funzione del giorno, dell’ora e dall’andamento delle borse), cambiare per andare su LinkedIn, piattaforma di proprietà di Microsoft, azienda fondata da Bill Gates, quinto uomo più ricco del mondo, non ha molto senso.
Poi, inutile nasconderlo, LinkedIn, se lo si vuole utilizzare al meglio delle sue capacità e funzioni, costa. L’abbonamento a LinkedIn Premium parte da 29,99 dollari al mese (che bella l’ipocrisia di non dire che costa 30 dollari al mese). Una cifra comunque non eccessiva per ritrovare il proprio gruppo di colleghi e amici, ormai attivi su LinkedIn più che su qualsiasi altra piattaforma. Comunque, meglio pagare e usare, che non pagare e farsi usare.
Brevissima digressione. Prima di entrare a fare parte di un qualunque servizio in rete, si raccomanda vivamente di leggere il contratto che in tanti, troppi se non tutti, sottoscrivono senza avere la minima idea di quali siano i loro diritti e soprattutto doveri. Che nessuno si lamenti poi… Fine della digressione.
Di certo le cose stanno cambiando nell’industria dei social media. L’ascesa di LinkedIn può sancirne la morte così come li abbiamo conosciuti, oppure l’inizio di una nuova tipologia di presenza online dove è impossibile separare il lavoro dalla vita sociale.
Nuova tipologia sana o malsana?
A voi giudicare.