Draghi è stanco di fare “whatever it takes” per salvare l’Italia è si congeda perché è “venuto meno il patto di fiducia alla base dell‘azione di governo”. Un ringraziamento è dovuto ai grillini guastafeste che consolidano il distacco fra gli italiani e la politica.
Colgono la ghiotta occasione i partiti che vogliono restituire la parola agli elettori, ma la tentazione è di non accontentarli. Passa la voglia di votare perché tanto i cambiamenti arrivano da fuori, dal mondo globalizzato, dai paletti che (fortunatamente) ci impone l’Europa, dai mercati,
dalle piccole e grandi aziende che nonostante tutto si destreggiano fra leggi incomplete, burocrazia e distacco della politica dalla realtà.
Non vuoi più votare perché non credi più nel modello di rappresentanza e ancora meno nella democrazia diretta dei grilli parlanti e dei loro accoliti urlatori ignoranti.
Lo sfortunato slogan “Uno vale uno” è rimasto ma non è più quello dei grillini, è la più inquietante parità fra Euro e Dollaro. Forse Draghi farebbe bene a riapplicare il whatever it takes al contesto monetario, in uno scenario internazionale dove il compromesso e la creazione dei consensi seguono le regole del confronto duro ma chiaro e quando si sceglie una strada la si segue. A Roma “whatever it takes” è sprecato perché a questa ricetta mancano gli ingredienti fondamentali, la consapevolezza che non si possono ottenere i risultati se non si rema tutti insieme. Lo sforzo di squadra che ha salvato l’Euro non si vede per la salvezza dell’Italia e le energie vanno disperse per salvare il governo e non mandare all’aria quanto conquistato negli ultimi 18 mesi.
Non ti va di votare perché anche se vincesse il tuo partito, si troverebbe a lottare in un’arena inquinata e impraticabile, in balía dei disastri di dilettanti che minano il lavoro e la credibilità di chi la politica la fa sul serio. Perché in parlamento ci arrivano cani e porci, deputati che non sanno l’italiano, fanno fatica a coniugare verbi e sbagliano i congiuntivi ma sono bravi a parlare “in nome degli italiani” e “per il bene degli italiani”
Viene spontaneo chiedersi quali interessi di parte e di partito si nascondono dietro la glassa di parole stucchevoli e controproducenti per chi le usa. “Per il bene del paese” vuol dire “non ho un programma e chiedo soldi a pioggia sapendo che non ci sono coperture”. Tra un po’ faticheremo a comprare quella scatola di sardine che i devastatori del Parlamento volevano aprire e servire, ovviamente per il bene degli italiani. Magra consolazione che i grillini di crisi in crisi friniscano e finiscano nel nulla, anche perché per arrivare al loro totale annientamento a forza di dimezzamento dei consensi, la matematica ci insegna che tolta una metà ne rimane ancora una seppur piccola, di metà.
E se anche tornassi a votare, sarebbe un voto di protesta o un voto ad un partito in cui avevo già creduto in passato e dal quale mi ero già allontanato per credere in un altro. Il giro è finito, come con gli operatori telefonici: passi da Tim a Vodafone, poi Wind, ognuno con il suo costo nascosto, il servizio non richiesto, l’assenso che non sai aver già dato. Poi ti accorgi che una fregatura vale l’altra, tanto vale sceglierne una e imparare a conviverci. La differenza è che il telefonino è diventato un bene di prima necessità. La politica non l’hai mai sentita tale, è infinitamente lontana e anche se sai che un voto di protesta è un voto regalato a un altro, cosa importa? Poi ti trovi dei cafoni in parlamento che non sanno l’italiano ma si ergono a giudici di chi deve dimostrare adeguata italianità per diventare cittadino. Torna in mente un’altra battuta da bar dello sport: quanti parlamentari supererebbero un qualsiasi esame per entrare in parlamento?
Proprio quando Draghi getta la spugna, Wärtsila annuncia la chiusura di Trieste e se ne va in un paese che offre più certezze, più regole su cui contare per programmare una crescita senza il timore di nuove norme che annullano le precedenti. Siamo il paese dei due passi avanti e due indietro, come Sisifo che a fatica spinge la sua pietra su per la montagna e quando arriva in vetta la pietra rotola giù e Sisifo, imperterrito, riparte. Draghi è arrivato in vetta e il masso ha iniziato la discesa. Chissà se mentre prepara il suo intervento di mercoledì alle Camere, gli verrà in mente la canzone di Cocciante “…gli lascio il posto mio. Povero diavolo, che pena mi fa….”
Nel febbraio del 1883, lo scrittore e giornalista Carlo Lorenzini (Firenze 24 novembre 1826 - Firenze 26 ottobre 1890), sotto lo pseudonimo di Carlo Collodi, pubblica, con la...
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