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QUALCUNO DICA A BRUNETTA E A CINGOLANI CHE LO SMART WORKING NON E’ UNA CONTROMISURA PER LA PANDEMIA

Umberto Rapetto di Umberto Rapetto
18/03/2022
in EDITORIALI
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A giorni si torna alla “normalità” e quindi verranno meno le disposizioni che (non) disciplinavano il ricorso allo smart working. La gente tornerà in ufficio “in presenza” per la gioia orgasmica di chi è convinto che lavorare significhi stare alla scrivania (anche a guardar per aria, a giocare con i videogames, a “postare” idiozie sui social, a vedere film “on demand” o sulla pendrive USB…).

La vera pandemia – immanente e non in essere solo da febbraio 2020 – è quella della cecità strategica che affligge chi dovrebbe occuparsi del futuro della collettività. Il sadomasochismo della frusta da far schioccare in prossimità del dipendente tenuto al guinzaglio e la cultura del monopattino elettrico come panacea della mobilità sostenibile dominano la scena e non sembra ci sia assolutamente verso di cambiare la rotta che sta portando questo Paese felicemente alla deriva.

Lavorare da casa (o dalla spiaggia o in mezzo ad un prato) è visto (forse per retaggio personale di chi si fossilizza su certi stereotipi) come una elusione dei propri doveri di servitore (servitore, mi raccomando, non servo) dello Stato. Nessuno si è preso la briga di valutarne la reale portata, di considerarne i vantaggi per l’azienda/ente e per chi opera a distanza, di studiarne le migliori soluzioni anche in termini di sicurezza e di riscontro dei risultati, di disciplina delle corrette modalità di prestazione , di pianificare l’implementazione di una architettura telematica idonea ad un simile salto.

Cominciamo ad eliminare due termini abusati, “smart” e “agile”. Perché? Semplice. Se lavorare da casa è “smart”, vuol dire che farlo in ufficio è “stupid”? 

“Agile”? Ma siete mai stati a casa di una famiglia che vive in un bilocale, papà e mamma che cercano di connettersi con il sistema informatico del rispettivo datore di lavoro, i figli – magari due – in DAD, la linea “telefonica” che non regge il peso del collegamento?

Diamo il via alla “transizione etimologica” e iniziamo ad adoperare le parole corrette, magari facendo il piccolo ma sopportabile sforzo di utilizzare termini italiani così da esser “patrioti” almeno nell’eloquio. Parliamo, anche se è meno fascinoso (“charmant” preferirebbero gli irriducibili francofoni), di lavoro da remoto, qualunque sia il luogo in cui si trovi il soggetto dipendente o collaboratore.

La formula in questione non ha bisogno di epidemie globali per essere applicata. E’ una modalità che – sembrerà strano – non ha necessità della diffusione di un virus malefico per dimostrare la sua efficacia.

Potrà apparire ancor più bizzarro ma lo smart working lo si può sfruttare anche quando si tornerà alla vita normale. Forse lo si potrà fare ancor più proficuamente perchè – reduci dall’esperienza forzata – andrà a configurare uno degli assi portanti della rivisitazione dei contratti di lavoro.

La previsione stabile della prestazione a distanza imporrà una seria ricognizione di tutte le attività che non impongono la presenza fisica del lavoratore in ufficio. Molti “mestieri” non potranno contemplare questa opportunità, ma tanti altri possono rivelarsi “praticabili”. Dovranno essere codificate le procedure, definiti diritti e doveri (su entrambi i fronti), istruiti i dipendenti, approvvigionati i “materiali” (computer, tablet, smartphone) e i servizi (software, connessione ad Internet…), verificati i livelli di efficienza e quelli di sicurezza, fissati i livelli di produttività definendo le metriche e le dinamiche di computo/riscontro, eseguiti i collaudi iniziali e i test periodici di verifica.

Sul tavolo delle trattative costi e benefici non tarderanno a delinearsi. Aziende ed enti dovranno sostenere un discreto investimento tecnologico, educativo ed organizzativo, ma potranno ridurre significativamente gli spazi finora indipsensabili per ospitare scrivanie ed occupanti. Sull’altro fronte i lavoratori devono riconoscere di “guadagnarci” in termini di qualità della vita: oltre all’orario fuori casa diminuito del tempo di andata e ritorno, niente spostamenti (i pendolari sarebbero i primi a gioirne), niente spese nè rischi di trasporto, niente stress nel traffico, niente mensa o panino… Il risparmio può essere facilmente quantificabile e nel “conto” va messo anche il non edificante ridursi delle opportunità di relazione umana con i colleghi (l’isolamento è senz’altro un punto critico da non trascurare) e la reperibilità costante che si profila inevitabile.

Probabimente chi sceglie lo smart working (o vi viene assegnato) percepirà una retribuzione un pochino ridotta rispetto lo stipendio riconosciuto a chi fisicamente “timbra il cartellino”. Un punto di reciproca convenienza non sarà impossibile da trovare.

Non saranno felici di una simile rivoluzione i proprietari degli “immobili uso ufficio” che potrebbero assistere ad un non trascurabile svuotamento dei locali finora operativi, i gestori delle mense interne e quelle dei locali di ristorazione nelle zone ad elevata presenza impiegatizia, gli operatori del contesto automobilistico (fabbricanti, concessionari, meccanici, carrozzieri, benzinai…).

Non esiteranno a gioire gli utenti del servizio di trasporto pubblico (che vedranno bus, metro e treni “alleggeriti” e poi meno auto in città), i cacciatori di parcheggio nelle strade del centro, gli ecologisti (che apprezzeranno il minore inquinamento atmosferico e acustico) e chissà quanti altri.

Le considerazioni potrebbero proseguire all’infinito. Il solo cimentarsi a ragionare su questo tema è segno di maturità. Purtroppo in questo Paese devastato dall’incompetenza e da un’errata interpretazione della cieca e genuflessa subordinazione all’organizzazione di appartenenza, molti piccoli “capi” avevano già cominciato ad invitare i sottoposti a rientrare in ufficio a dispetto della legittimità vigente per legge e per disciplina aziendale.

I lavori parlamentari per immaginare il lavoro agile come modalità alternativa di prestazione d’opera arrancano, le “contrattazioni individuali” non vedono in posizioni paritarie datore di lavoro e dipendente, l’ illusione di un traguardo a breve è destinata a restare un miraggio. Nemmeno la crisi energetica diretta conseguenza della belligeranza regalataci da Putin porta ad optare per un lavoro a distanza per far risparmiare benzina. Neppure gli ambientalisti…

Quell’incredibile “ormai lo smart working è finito” etichetta automaticamente chi pronuncia la frase, ci dà nitida idea di quanto valga l’odierna classe manageriale e spegne ogni speranza di un futuro migliore. 

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Umberto Rapetto

Umberto Rapetto

Segno zodiacale Leone, maturità classica alla Scuola Militare Nunziatella di Napoli, laurea in Giurisprudenza e in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Trieste e in Scienze della Sicurezza Economica e Finanziaria all’Università di Roma Tor Vergata, generale della Guardia di Finanza in congedo, già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche, docente universitario e giornalista, è stato consigliere strategico del Presidente di Telecom Italia Franco Bernabè e poi Group Senior Vice President con delega alle Iniziative e ai Progetti Speciali del colosso nazionale delle comunicazioni da cui è uscito in totale divergenza con le scelte aziendali. Paracadutista e istruttore di tiro rapido, è stato il pioniere delle investigazioni tecnologiche. Protagonista di indagini che rappresentano vere e proprie pietre miliari della lotta al cybercrime, tra cui la cattura degli hacker entrati nel Pentagono e nella NASA nel 2001 e il recupero dei dati del naufragio della Costa Concordia, ha guidato le indagini – svolte su delega della Corte dei Conti – inerenti la mancata connessione delle slot machine al sistema dell’Anagrafe Tributaria con un miliardario danno per l’Erario. Quest’ultima attività investigativa ha determinato il suo trasferimento alla frequenza di un corso al Centro Alti Studi Difesa dove era docente da sedici anni e la pianificata rimozione lo ha indotto a rassegnare le dimissioni dopo ben 11 interrogazioni parlamentari sull’assoluta inopportunità di un suo trasferimento ad altro incarico. In GdF ha prestato servizio – tra l’altro – al Comando Generale, al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e al Nucleo Speciale Investigativo ed è stato direttore del Progetto Intersettoriale “Sicurezza Informatica e delle Reti” all’Autorità per l’Informatica nella P.A. Ha svolto attività di docenza universitaria negli Atenei di Genova, Pisa, Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Roma Tre, Trento, Chieti/Pescara, Teramo, Parma, Palermo, Macerata, LUMSA di Roma, Cattolica del Sacro Cuore alla sede di Piacenza, LINK Campus – University of Malta – Roma, “LUM – Jean Monnet” di Bari, LIUC di Castellanza. Relatore e chairman in convegni nazionali ed internazionali in materia di criminalità economica e tecnologica, in ambito istituzionale svolge e ha svolto attività di docenza presso la NATO School di Oberammergau (D), le Scuole di Addestramento delle strutture di intelligence, il Centro Interforze di Formazione Intelligence e Guerra Elettronica dello Stato Maggiore Difesa, la Direzione Corsi di Elettronica ed Informatica di SMD, la Scuola di Guerra, il Centro Alti Studi della Difesa, l’Istituto Superiore Stati Maggiori Interforze ISSMI, la Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia, la Scuola Tecnica della Polizia di Stato, l’Istituto Superiore di Polizia, la Scuola di Polizia Giudiziaria Amministrativa e Investigativa di Pescara, l’Accademia della Guardia di Finanza, la Scuola di Polizia Tributaria, la Scuola Sottufficiali della GdF, l’Accademia Navale, l’Accademia della polizia rumena. Come free-lance ha svolto attività didattica presso il Centro di Management ISVOR-FIAT, la Scuola Superiore G. Reiss Romoli (poi Telecom Italia Learning Service) del Gruppo Telecom, l’Istituto di Informatica Direzionale IBM, l’IRI Management, l’Istituto Nazionale di Formazione Aziendale INFORMA, CEIDA, Paradigma, SOMEDIA La Repubblica, CEGOS, il Centro di Formazione Il Sole 24 ORE. Consigliere del Presidente pro tempore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), prof. Fabio Pistella, per la sicurezza tecnologica, e in materia di protezione dei dati e dei sistemi informatici dei Presidenti Pippo Ranci e Sandro Ortis all’Autorithy per l’Energia, è stato anche consulente delle Procure presso i Tribunali di Roma, Viterbo, Grosseto, Cosenza, Palermo, Massa, Pescara e Paola, della Commissione Parlamentare diinchiesta sull’AIMA, del Comitato Usura, estorsioni e riciclaggio nell’ambito della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, della Commissione d’inchiesta sull’Affare Telekom Serbia. E’ stato rappresentante e relatore per le rispettive delegazioni italiane in Interpol a Lyon (F), in NSG a Paris (F) e Berlin (D), in MTCR a Munich (D), in Comunità Europea a Strasbourg (F) e a Bruxelles (B), in Europol a Den Haag (NL). Già membro onorario dell’Associazione Italiana di Psicologia Investigativa e dell’Association for Certified Fraud Examiners (ACFE), è certificato “Security Advisor” EUCIP Champion (European Certification for Informatics Professionals). Autore di oltre 50 libri, iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1990, ha collaborato con i più importanti quotidiani e periodici nazionali ed è una delle firme de Il Sole 24 ORE e de Il Fatto Quotidiano e del settimanale OGGI. Attualmente è CEO della start-up HKAO – Human Knowledge As Opportunity operante nello scenario della sicurezza dei sistemi e delle reti, della riservatezza dei dati e del controspionaggio industriale con attività di consulenza, coaching, progettazione, formazione. E’ Presidente della Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali della Repubblica di San Marino (Authority di cui è stato Vice Presidente dall’aprile 2019 al gennaio 2022).

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