In questi giorni le Ferrovie dello Stato hanno inondato le emittenti televisive con un fascinoso spot il cui titolo è “una nuova idea di futuro”. Una sorta di tormentone che anche ieri – nel giorno della fatidica sentenza sul disastro di Viareggio – ha ritmato le inserzioni pubblicitarie su tutte le reti.
È curioso un così massiccio investimento promozionale in un momento in cui non si viaggia, ma in questi giorni si decideva a proposito di una brutta pagina della storia del trasporto nazionale.
Nel vedere la sequenza filmata i miei occhi hanno poco alla volta visto sbiadire gli eleganti convogli ad alta velocità che si muovono sinuosi e veloci in una radiosa giornata di sole. L’immaginazione ha rabbuiato la scena portando le lancette dell’orologio a poco prima della mezzanotte del 29 giugno 2009. Al posto dei “Frecciarossa” si vede sopraggiungere, lugubre e rumoroso, un “merci” la cui stabilità sembra perduta. Nessuna musica delicata, ma solo un gran frastuono. Sta deragliando il treno 50325 Trecate–Gricignano. Si danneggia la cisterna che – su un carro – trasporta GPL e la perforazione della parete metallica determina una spaventosa fuoriuscita di gas. Forse complici le mille scintille dell’attrito dei vagoni sbandati, si innesca un incendio di proporzioni infernali che devasta l’area circostante la stazione ferroviaria di Viareggio.
Le fiamme di quella notte non si sono mai spente e nel cuore dei famigliari delle 32 vittime le ustioni sono state recentemente cartavetrate dalla sentenza con cui la Cassazione ha dichiarato prescritti gli omicidi colposi per la strage a seguito dell’esclusione dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro. La decisione della Suprema Corte avrà il suo fondamento, ma le alchimie giuridiche e gli arguti cavilli sono l’ulteriore spruzzata di GPL sull’inestinguibile fuoco di quella allucinante notte che ormai dura da una dozzina d’anni.
Nessuno cercava la condanna di imputati eccellenti. Gli imputati sono imputati e basta. Gli imputati devono rispondere delle responsabilità – a volte enormi – il cui peso è di norma ammortizzato da emolumenti faraonici il cui importo è stabilito proprio in considerazione dei “rischi” che l’interessato si assume e che con le sue scelte ed iniziative (ad esempio l’applicazione più rigorosa della sicurezza sul lavoro) va a sterilizzare o ridurre al minimo.
La sentenza costituisce un “precedente” ingombrante. Non incentiva il rispetto di certe norme e la conseguente adozione di tutte le prescrizioni la cui mancata osservanza porta a totalizzare ogni anno un numero impressionante di vittime sul lavoro (o causate da attività correlate).
E così la mente torna allo spot e si concentra su una sola parola. Futuro.
Chi nell’imperante cinismo quotidiano ha ancora un briciolo di sensibilità, è portato a pensare ai tre bambini che hanno perso la vita quella dannata notte.
Lorenzo Piagentini aveva due anni, suo fratello Luca cinque e il piccolo Iman Ayad soltanto tre.
Penso al futuro che quei bimbi non hanno mai vissuto. Oggi Luca magari sarebbe stato al liceo e nonostante il lockdown avrebbe avuto una bella fidanzatina, Iman potrebbe essere prossimo a salire sul motorino con i suoi coetanei, e Lorenzo forse si starebbe lamentando della connessione via Internet e della noia della didattica a distanza.
Anche loro, come le Ferrovie, avrebbero avuto “una nuova idea per il futuro”. Già, “avrebbero avuto”.