Meglio sapere che assumere di sapere, quindi facciamo quattro chiacchiere con Claude, intelligenza artificiale generativa, su Hacker e Hacking, spesso citati e non ben conosciuti.
Claude, qual è la definizione più corretta di “Hacker”?
Un hacker è un soggetto, con competenze tecniche avanzate, che esplora, comprende e modifica sistemi informatici per capirne il funzionamento, spesso con creatività e ingegnosità. Questa definizione, positiva, include programmatori esperti, ricercatori di sicurezza e innovatori tecnologici.
Distinzioni importanti:
- White hat hacker (hacker dal cappello bianco): professionisti della sicurezza che identificano vulnerabilità per proteggere i sistemi informatici.
- Black hat hacker (hacker dal cappello nero): chi sfrutta le vulnerabilità per scopi illegali o dannosi.
- Gray hat hacker (hacker dal cappello grigio): opera in una zona intermedia, spesso senza autorizzazione, ma senza intenti malevoli.
Uso comune e accezione tecnica: nei media e nel linguaggio comune, “hacker” viene spesso usato, erroneamente, per riferirsi solo ai criminali informatici. Nella comunità tecnologica mantiene il significato più ampio di persona con competenze tecniche eccezionali.
La definizione più accurata è quindi quella di esperto tecnologico che esplora e manipola sistemi informatici, con la distinzione che le sue intenzioni e metodi determinano se l’attività è costruttiva o dannosa.
Claude, chi pensi sia l’hacker più influente nella storia cibernetica?
La domanda è complessa perché l’influenza può essere misurata in modi diversi. Ecco alcuni dei candidati più significativi:
- Kevin Mitnick è probabilmente il più famoso per il grande pubblico. La sua storia di ricercato FBI negli anni ’90 e successiva trasformazione in legittimo consulente di sicurezza ha plasmato la percezione dei non esperti di chi sia un hacker.
- Richard Stallman ha avuto un impatto enorme creando il movimento del software libero e la Free Software Foundation. Le sue idee sui diritti digitali e il software Open Source hanno influenzato profondamente l’industria tecnologica.
- Linus Torvalds ha rivoluzionato il mondo informatico creando Linux, che oggi alimenta gran parte dell’infrastruttura internet mondiale, dai server agli smartphone Android.
- Tim Berners-Lee ha inventato il World Wide Web, cambiando radicalmente come l’umanità accede e condivide informazioni.
Se dovessi scegliere, direi che Richard Stallman potrebbe essere considerato il più influente per l’impatto duraturo delle sue idee sulla filosofia del software e dei diritti digitali. La sua visione del software libero ha ispirato generazioni di sviluppatori e ha posto le basi per movimenti come l’Open Source.
Tuttavia, ognuno di questi individui ha contribuito in modo unico alla cultura hacker e all’evoluzione della tecnologia digitale.
Quello che Claude non dice, è che alcuni dei più grandi hacker sono quelli di cui non si è mai sentito parlare perché, in effetti, sono così bravi da non essere mai stati scoperti. Da notare che non scende nei dettagli della storia del famigerato Kevin Mitnick, particolarmente noto per la sua abilità nell’ingegneria sociale. Non dice che alla fine è stato arrestato, non per crimini digitali, ma perché ha abusato del sistema telefonico, effettuando chiamate a sbafo. Ha scontato cinque anni di carcere. Quando è uscito è diventato, per chiara fama, rispettato consulente per la sicurezza.
Claude, da dove viene il termine hack, da cui hacker e hacking, attività dell’hacker?
Il termine “hack” ha origini interessanti che precedono l’informatica: la parola deriva dall’inglese antico “haccian” che significava “tagliare a pezzi” o “fare a pezzi”. Nel corso dei secoli si è evoluta per indicare un taglio irregolare o grossolano.
Il significato moderno nasce al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Gli studenti usavano “hack” per descrivere una soluzione creativa e ingegnosa a un problema, spesso non convenzionale, o elegante. Un “hack” era un trucco intelligente o una modifica brillante.
Per i primi hacker, “hackare” rappresentava curiosità intellettuale, creatività nel problem-solving e desiderio di comprendere come funzionano le cose – valori che rimangono centrali nella cultura hacker autentica.
Ringraziamo Claude, ma anche in questo caso la sua riposta non è del tutto corretta, o completa. Cercando meglio si scopre che il termine nasce negli anni 1960 al MIT nell’ambito di un club di modellismo ferroviario dove il termine hacker veniva utilizzato per riferirsi a qualcuno in grado di utilizzare la tecnologia in modo non convenzionale e creativo.
Intorno agli anni 1970-1980, c’è stata un’evoluzione nel significato e si è iniziato ad associare l’hacking con l’accesso non autorizzato a un computer. In quei tempi lontani, l’hackeraggio informatico era infatti una questione di accesso fisico. Non c’era internet, non esistevano le reti distribuite. Tutti i computer al mondo erano fisicamente residenti nei cosiddetti Data Center. Ogni azienda, o grande organizzazione, ne aveva uno. Ambienti asettici, luce artificiale 24 ore su 24, pavimenti galleggianti, aria condizionata e filtrata. Accesso controllato, telecamere di sorveglianza. Addetti in camice bianco. Era il tempo dei sistemi di protezione analogici, molto efficaci: staccionate, muri, gates e windows, ovvero cancelli e finestre. C’erano guardie giurate, per giunta armate. Per fare danni occorreva accedere fisicamente al sistema. Per nulla facile.
Poi tutto è diventato progressivamente digitale. Inizialmente si poteva accedere al sistema da remoto utilizzando un telefono. Quelli che hackeravano il sistema telefonico erano conosciuti come Phreaker, contrazione di Phone Hacker. Artisti del modem, esperti del codice Hayes. Il Phreaker chiamava il sistema bersaglio e otteneva l’accesso perché le password erano semplici e conosciute. Piccola curiosità: in quegli anni, la password più diffusa in Italia era Pippo. Usata come esempio nei manuali di istruzione delle macchine IBM.
Arrivano poi gli anni 1980-1990. Tutto cambia con la diffusione del protocollo Internet. I sistemi informatici sono sempre più collegati fra loro, ma il pericolo di possibili intrusioni non è percepito. Entrarci abusivamente è facile. Tutti accedono a tutto e a tutti. L’hacking evolve in modo drammatico.
Claude, gli hacker hanno mai messo fuori uso un sito web governativo?
Nel 1996, hacker compromisero il sito della CIA, sostituendo la homepage con contenuti satirici. Anonymous ha condotto diverse operazioni contro siti governativi durante la “Operation Payback” del 2010. Nel 2011, LulzSec fece lo stesso, in particolare attaccando siti del Senato americano e agenzie britanniche.
Pare proprio che Claude sia stato programmato per essere cortese e abbastanza vago. Non dice che il contenuto della homepage della Central Intelligence Agency “taroccata” per un breve periodo recitava: “Benvenuti nell’Agenzia Centrale per la Stupidità”. Il che non è proprio satira. Il danno, infatti, fu più reputazionale che altro. Erano fondamentalmente graffiti elettronici. Oggi non è più così. I danni sono soprattutto di tipo economico e operativo.
Ci si augura che dopo tanto ciarlare, hacker e hackeraggio siano parole senza più segreti.
C’è anche una lezione da apprendere a seguito della conversazione con Claude. Non limitate le vostre domande a un solo modello di intelligenza artificiale. I diversi modelli hanno caratteristiche uniche, sono stati addestrati in modo diverso, elaborano risposte secondo algoritmi proprietari.
Non siate pigri. Dato un argomento, se riuscite a chiedere “perché” per cinque volte di seguito, o fate delirare l’intelligenza artificiale, oppure fate una scoperta innovativa.
Comunque vi divertite e imparate.