Il diritto è un complesso di norme che regolano la vita di una Comunità.
Ogni norma incorpora un Valore che è generalmente condiviso dagli appartenenti alla Comunità stessa.
Alcuni decenni fa, appresi che l’impalcatura del diritto poggia su due grandi pilastri: la forza ed il consenso.
La forza è funzionale a garantire l’osservanza dei precetti mentre il consenso costituisce l’indicatore che i Valori incorporati nelle norme sono riconosciuti e condivisi dai consociati.
Se manca uno dei due pilastri, l’impalcatura non tiene ed il diritto non trova un’effettiva applicazione.
Così, ad esempio, in alcune zone della nostra Nazione non è diffusamente riconosciuto il “Valore della Sicurezza” incorporato nelle norme del Codice della strada che impongono l’obbligo di indossare il casco su una moto o la cintura di sicurezza all’interno di una autovettura.
Quindi manca il consenso diffuso su queste norme.
E, da sola, la forza non garantisce un’effettiva piena applicazione del precetto normativo.
Secondo me, questo schema può aiutare a capire perché ancora non vi sia una diffusa sensibilità e consapevolezza sulla grandissima rilevanza della normativa sulla privacy che è stata introdotta, 7 anni fa, con il GDPR, in tutti gli Stati dell’Unione Europea.
Si tratta di un insieme di regole volto a proteggere una Bene preziosissimo: la dignità umana ed i correlati diritti e libertà fondamentali.
Il Prof. Stefano Rodotà definiva la dignità umana come il “diritto di avere diritti” cioè la matrice dei diritti inviolabili che appartengono ad ogni individuo, per il solo fatto di esistere e di appartenere al genere umano.
Eppure, un sistema di regole così nobile e fondamentale è misconosciuto.
Non vi è un diffuso consenso sulla privacy.
Forse questo singolare fenomeno potrebbe dipendere dal fatto che questo essenziale “corpus normativo” sia stato calato dall’alto e non sia derivato da istanze dei cittadini Europei.
Questa considerazione trova riscontro proprio nelle maglie del GDPR.
Infatti, il Legislatore Unionale si è preoccupato/premurato di attribuire alle Autorità di controllo il primario compito di “promuovere la consapevolezza e di favorire la comprensione del pubblico riguardo ai rischi, alle norme, alle garanzie e ai diritti in relazione al trattamento dei dati personali.”
Invero, il Garante Privacy italiano sta svolgendo con grande impegno e meticolosa cura questo compito, sforzandosi di realizzare una “cultura della consapevolezza”.
Ma evidentemente l’opera del Garante non appare sufficiente.
Anche la Scuola dovrebbe fare la propria parte, considerando che l’art. 5 della Legge 20 agosto 2019, n. 92 ha introdotto nelle scuole di ogni ordine a grado, l’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza digitale che comporta il conseguimento di conoscenze delle politiche sulla tutela della riservatezza e sull’uso dei dati personali.
È una grande sfida, che va condotta su molti piani, da tutte le persone che hanno contezza della grande rilevanza di questo splendido sistema di regole, primi fra tutti, gli operatori del settore quali i DPO ed i Consulenti.
È una sfida che va condotta e vinta per definire un nuovo senso di comunità che sia fondato sulla centralità dell’essere umano.