Viene spontaneo chiedersi quale rapporto abbia il Presidente degli Stati Uniti con il noto gioco d’azzardo nel quale la massima vincita si ottiene indovinando l’estrazione di una sestina di numeri su novanta. Certamente il legame non è diretto ma rapportato ad un generico calcolo delle probabilità.
Come ben si sa, azzeccare la sestina vincente è difficilissimo, altrettanto lo è prevedere le decisioni che Donald Trump ha intenzione di prendere.
Ripetutamente fa promesse o minacce che poi smentisce, rafforza, conferma. Un vero e proprio rebus che si concretizza in provvedimenti schizofrenici alla “gatto selvaggio” o “cavallo pazzo”. Sul perché di tali atteggiamenti si sono interrogati politologi e psicologi senza addivenire ad una sicura spiegazione.
Tra le più probabili potremmo annoverare il desiderio di potenza, di dimostrare, con le tante, anche discutibili, misure che è l’uomo più potente del mondo, in grado di fare, disfare, distruggere, ricostruire. Non si sente solo il Presidente degli Stati Uniti, e come tale l’uomo più potente al mondo, ma il “padrone” del mondo. A lui tutto è consentito e tutti gli debbono obbedienza senza diritto di replica, pena l’inasprimento delle sanzioni o delle tariffe doganali.
Se non fosse più che tragico verrebbe da pensare al celeberrimo film “Il Marchese del Grillo” quando il grande Alberto Sordi dice: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. In effetti poche settimane fa è andato ben oltre, quando ha detto che gli si doveva baciare il fondo schiena, chiamandolo per nome; se nelle battute dei film le trivialità possono essere simpatiche, non lo sono in bocca ad un Presidente.
Il suo gioco sui dazi, tragico per le economie e gli equilibri mondiali, forse ne è la più evidente e nefasta dimostrazione. Ti impongo una tariffa dell’X per cento ma trattiamo alle mie condizioni e se reagisci inasprisco o moltiplico quell’X per cento. Prima spara una percentuale, poi la abbassa così le vittime credono di averla scampata; come dire: “ti sei rotto le gambe, le braccia e la colonna vertebrale, morirai; non è vero solo la colonna vertebrale e rimarrai su una sedia a rotelle, sii felice”.
Come tutti ben sanno l’economia, le borse, i mercati premiano la stabilità, non le politiche ondivaghe. Queste si riflettono negativamente sulle enne variabili economiche. Nulla di peggio dell’incertezza per il decisore economico: dall’imprenditore alla multinazionale; un futuro troppo mutante di giorno in giorno frena gli investimenti che necessitano di un orizzonte almeno non troppo rischioso.
Un giorno fa cessare, ex abrupto, le guerre, un altro strapazza un aggredito, poi lo riabilita, poi dice di non fornirgli le armi, poi decide di inviarle, forse facendole pagare prevalentemente ad altri. L’aggressore è prima nemico, poi amico, poi si parlano, poi minaccia sanzioni, poi dice di sentirsi preso in giro, poi lo definisce con termini volgari. Altrove prima vuol pacificare, poi trasferire (leggasi deportare) intere popolazioni, poi costruire sulle macerie resort esclusivi, poi fa trattare su un cessate il fuoco sempre più incerto mentre si muore non solo sotto i bombardamenti ma per fame, sete, mancanza di cure e tentando di avere del cibo. Anche nella politica internazionale le idee sono più che fluttuanti.
Ecco perché si può pensare sia più facile azzeccare una sestina al superenalotto che capire l’uomo più potente e stravagante del mondo il quale, forse, si diverte nell’incutere timore agli interlocutori, probabilmente identificandoli come sue “prede” o “vittime sacrificali”. In tutto questo aspira al Nobel per la pace, proposto dall’amico Bibi.