Ci sono luoghi del passato che sono quotidianamente battuti da folti gruppi di turisti al seguito delle loro guide. Se tali luoghi si trovano a Roma, le schiere diventano orde, al punto che è necessario fare pazientemente la fila per visitare, ad esempio, il luogo dove Cesare fu cremato il giorno del proprio funerale.
E ci sono luoghi più battuti di altri, sui quali evidentemente circolano notizie storiche, ci sono studi, c’è modo, insomma, di saperne qualcosa e di poterne raccontare la storia.
Al Foro Romano, lungo il Vicus Tuscus, alle spalle del Tempio dei Dioscuri, però, c’è un punto dove nessuno si ferma mai, eppure vi si staglia un grandioso edificio di mattoni. E per grandioso si intende un quadrilatero con pareti alte oltre trenta metri larghe poco meno di quaranta. Ma il punto è talmente fuori dagli ordinari percorsi turistici che, infatti, ci si trovano le Toilettes e le macchinette del caffè, con accanto due belle panchine dove accomodarsi. E la vista è, appunto, un magnifico e colossale edificio di mattoni. E dice tutto lo sguardo sconsolato dei turisti che, di fronte a una simile manifestazione architettonica, non sa che cosa pensare.
Fortunatamente la ricerca scientifica non si ferma mai e proprio recentemente è stato pubblicata una monografia dal titolo “L’aula ovest del complesso di Domiziano tra Foro Romano e Palatino” vincitrice del Premio Renzo Ceglie della casa editrice Edipuglia 2025. L’autore è Fabrizio Sommaini, un giovane archeologo romano specialista in Archeologia dell’Architettura, il quale si è addentrato nella affasciante storia del manufatto forse più colossale e meno capito del Foro Romano.
Ad oggi, l’unica traccia di un’interpretazione a disposizione dei visitatori è una vecchia targa, di quelle in marmo affisse all’epoca della moderna valorizzazione del Foro, che dice “Tempio di Augusto”. Ma sfogliando le pagine della avvincente pubblicazione si comprende come tutta la storia dell’Aula sia stata travagliata, fin dalla sua ideazione. Il pregio dello studio affrontato da Sommaini è quello di esaminare l’edificio dal dettaglio del singolo mattone fino alla lettura diacronica delle sue fasi architettoniche.
E così si comprende che le letture dell’edificio sono state tante, da Horreum (cioè magazzino) a biblioteca, a edificio di culto, senza che se ne riuscisse a definirne una in particolare. Ma il bello delle antiche architetture è proprio questo, che spesso non è possibile etichettarle in un solo modo – ma non per questo devono rimanere silenti. Lo studio, quindi, esamina il percorso scientifico che ha portato l’archeologo Giacomo Boni, tra fine Ottocento e inizio Novecento, ad occuparsi dell’area, salvo poi concentrare l’attenzione sulla demolizione della chiesa barocca di Santa Maria Liberatrice, che insisteva sul complesso di Santa Maria Antiqua, esattamente alle spalle dell’edificio in questione. Il complesso paleocristiano ha preso il sopravvento e il resto è stato lasciato ai margini.
Le ricerche inglesi degli anni ’80 non hanno lasciato risultati editi, per cui si giunge alla ricerca di Sommaini per trovare qualche informazione sulla storia costruttiva dell’aula, che l’autore ricostruisce con precisione e sistematicità. E allora si apprende che il gigantesco spazio nasce in età domizianea (81-96 d.C.), in rapporto topografico con il Palatino, al quale è collegato attraverso la Rampa Domizianea, recentemente aperta al pubblico.
La grande aula, la cui architettura suggerisce una copertura a capriate, doveva essere uno spazio di ricezione, come una grande aula di ricevimento ad uso dell’Imperatore verso i propri sudditi. Il che funziona, secondo l’autore, proprio perché tutto il complesso (che include qui l’aula ovest, l’aula poi oratorio dei Quaranta Martiri, l’aula est poi atrio di S.Maria Antiqua e l’aula della chiesa medesima) è sì orientato con il Foro Romano, ma fisicamente e concettualmente è come una pendice organizzata del Palazzo imperiale, che sempre Domiziano sta, negli stessi anni, costruendo sulla sommità del Colle.
L’aula si affacciava lungo il Vicus Tuscus, sul quale prospettava la parete d’ingresso con finestre, oggi perduta. E proprio dove sono state sistemate le panchine accanto alle macchinette del caffè, doveva estendersi un portico colonnato in laterizio, che si conserva ancora sul lato nord, in direzione dell’oratorio cristiano.
Tale edificio però, sembra non essere stato mai utilizzato, in quanto compiuto a ridosso della morte dell’Imperatore, nel 96. In seguito, lo studio archeologico ha individuato altre fasi di vita, come caseggiato in età adrianea, poi come convento della chiesa di Santa Maria de Inferno in età medievale e, infine, come granaio in età moderna. E di questo ne sono testimonianza le tracce dei tetti ancora impresse sulla parete di fondo.
A questo punto il grande complesso domizianeo, costruito tra il 92 e il 96 d.C., non ha più segreti – qui è il caso dirlo – e grazie allo studio di Fabrizio Sommaini siamo in grado di ripercorrerne le vicende, restando affascinati dal potere della ricerca archeologica di rintracciare la vita, gli usi e i riusi di uno spazio antico a partire dall’indagine analitica delle tracce ancora impresse sui muri. Quanto a ciò che c’era prima, la possibile Domus Gai e altre preesistenze: è un’altra storia.