Già il titolo di questi libro fa riflettere sulle sorti che spesso la storia ha riservato ai tiranni: il tirannicidio. Il termine tiranno ha origine nella lingua greca ed indicava un potere personale assoluto, privo del consenso del popolo (demos), un potere monocratico diverso dalla monarchia, del Re (basileus), privo di una linea di successione. La storia greca, tra realtà e racconti non documentati, narra di tiranni e tirannicidi, anche se, talvolta, incastonati da risvolti di natura sessuale.
Nella Roma a.C. un esempio fu l’uccisione di Cesare (44 a.C.) che un mese prima della morte era stato nominato dictator perpetuus (dittatore a vita); la carica di dittatore era prevista ma attribuita per fronteggiare situazioni belliche eccezionali. Era una contraddizione. Per il semplice fatto di avere accettato cariche ed onori eccessivi Cesare, secondo Cicerone ed altri, fu ucciso giustamente e legittimamente (Caesar iure caesus). Venne anche coniato il termine di “cesaricidio”.
La Chiesa, sin dall’alto Medio Evo, si pose il problema della figura del tiranno che regnava al di fuori del diritto (non iure). La massima condanna giunse con il “Dicatatus Papae” quando Gregorio VII (1020-1085) affermò che il Papa poteva sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà all’Imperatore. Era il 1077 quando Enrico IV (1050-1106), Imperatore del Sacro Romano Impero, si inginocchiò a Canossa. In merito al tirannicidio vi era il problema etico e morale del rispetto per la vita umana.
Il filosofo e Vescovo inglese Giovanni di Salisbury (1115/1120-1180) definì il tirannicidio “giusto e onorabile” se non un atto di pietà, definendo la tirannia un crimine di lesa maestà. Certamente rimaneva una “estrema ratio”. Il teologo e filosofo Tommaso d’Aquino (1224 circa-1274), atteso che “il cristiano deve obbedire all’autorità che viene da Dio e non quella che da Dio non è”, nel caso di usurpazione violenta e nel caso non vi sia una superiore autorità alla quale rivolgersi, chi uccide il tiranno “sarà degno di lode e di premio”. Il criterio, con acute argomentazioni che lasciamo al lettore, è il bene del popolo.
Il più famoso ed autorevole giurista del basso Medio Evo, Bartolo da Sassoferrato (1313-1357), distinse varie forme di tirannia, tra le quali quella in mancanza di titoli legittimi (ex defectu tituli) e l’esercizio abusivo ed atti che eccedono il potere (ex parte exercitii). Il potere tirannico potrebbe prevedere la pena di morte qualora prevista dalla legge applicabile dalla massima Autorità.
Il teologo Jean Petit (1360/65-1411) sosteneva che i sudditi dovevano custodire la sicurezza del Regno e difendere il Sovrano da che tentasse di instaurare la tirannia. La difesa comprendeva anche l’uccisione del tiranno.
Martin Lutero (1483-1546) dapprima negò la legittimità del tirannicidio ma poi, dopo il 1531, scisse l’aspetto teologico da quello giuridico al quale consegnava ogni giudizio sulla tirannia. Il Vescovo inglese Jean Ponet (1514-1556), oltre al diritto di resistenza, legittima il tirannicidio nel caso in cui sia sovvertito l’ordine politico.
Si fa strada la dottrina in base alla quale il potere del Sovrano viene conferito dal popolo; nel caso che il contratto sia infranto oltre l’opposizione vi è la legittimità della soppressione fisica. Le guerre di religione, la Riforma e la Controriforma alimentarono un dibattito molto variegato, profondo e complesso, che vide impegnate le migliori menti dell’epoca, in particolare sui poteri dei Pontefici nei confronti di Sovrani e Prìncipi.
Il gesuita spagnolo Juan de Mariana (1536-1626) propugnò più che il diritto, il dovere di uccidere il tiranno, spettante ad ogni cittadino; fatto che gli valse una condanna sia laica, sia religiosa.
Diverso fu quando Re Carlo I (1600-1649) venne condotto al patibolo, prima volta nella storia, dopo un giudizio del Tribunale. Seguirono le dottrine politiche del diritto naturale, dell’assolutismo, del liberalismo ed altre. Nel XVIII secolo si affermò il concetto di dispotismo. Il culmine fu l’esecuzione di Luigi XVI (1754-1793). Nel corso del XIX secolo si ebbero esempi di tirannicidi, legati all’indipendentismo ed all’anarchismo. Si ricorda l’uccisione del Re Umberto I (1869-1900) per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Con il XX e XXI secolo tutto rientra nell’alveo del diritto; nascono anche le democrature dove il consenso popolare può divenire un elemento costitutivo della tirannide.
In un’epoca in cui, negli Stati liberaldemocratici, gli autocrati tendono alla tirannia forse la lettura del libro potrebbe essere illuminante. Tiranni e dittatori difficilmente hanno avuto il privilegio di avere una sorte benevola.