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LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEL PERSONALE UMANITARIO NELLE AREE DI CONFLITTO

Mirna Caradonna di Mirna Caradonna
02/12/2024
in SCENARI
LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEL PERSONALE UMANITARIO NELLE AREE DI CONFLITTO
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TE LO LEGGO IO

Il 26 novembre u.s. si è tenuta a New York presso la sede mondiale delle Nazioni Unite, l’assemblea nr 70950 del consiglio di sicurezza sulla protezione del personale umanitario nei conflitti armati.

L’intervento di apertura della rappresentante del Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) signora Lisa Doughten, ha posto l’attenzione sulla drammatica realtà del fenomeno che riguarda le vittime: nel 2023 sono caduti vittime del dovere 283 lavoratori umanitari in venti paesi (incremento del 123% rispetto al 2022).

Moltissimi altri sono stati feriti, anche gravemente, sequestrati, imprigionati e torturati soprattutto in paesi come Afganistan, Repubblica Democratica del Congo. Etiopia, Libano, Mali, Myanmar, Sudan del Sur, Siria e Yemen, e dal 7 ottobre 2023 a Gaza oltre 330 lavorati umanitari hanno perso la vita. In questo scenario di totale insicurezza, solo il personale delle Nazioni Unite – alla data di ottobre 2024 – ha portato sollievo ed assistito 126 milioni di persone vulnerabili in tutto il mondo.

Quali sono le tutele giuridiche e il quadro normativo di riferimento per i lavoratori umanitari in ambito operativo? È opportuno rammentare che il personale delle Nazioni Unite si muove in aree ostili seguendo diligentemente le Standard Operation Procedures, laddove il paese ospite si impegna ad inizio mandato a garantire al massimo la sicurezza degli operatori e delle loro sedi fisiche. Per fare un esempio: se un soldato, un tiratore scelto nella fattispecie, spara e colpisce l’autista di uno di quei grossi camion bianchi con il logo blu di una Agenzia ONU vuol dire che non ha eseguito gli ordini del suo comandante…. Se lo ferisce gravemente o lo uccide le semplici scuse del paese ospitante non sono affatto ricevibili. I camion non si possono blindare, e nell’abitacolo viaggiano solo due autisti muniti di giubbetto antiproiettile e elmetto protettivo: se mi colpisci al braccio sei un bravo tiratore, non uno che ha sbagliato obiettivo.

Il diritto internazionale umanitario nasce nel XIX secolo con Henry Dunant, fondatore del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il suo obiettivo è limitare le sofferenze causate dai conflitti armati, attraverso regole comuni per proteggere coloro che non partecipano al conflitto, come civili, feriti e prigionieri di guerra. Le principali fonti di Diritto Internazionale Umanitario sono le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i loro protocolli aggiuntivi del 1977, che stabiliscono norme per la protezione di civili e combattenti fuori combattimento durante le guerre internazionali e internazionalizzate (coinvolgenti più Stati o che superano i confini nazionali). Anche i conflitti interni sono regolati, seppur in modo meno esteso, per proteggere contro i crimini di guerra più gravi.

Uno degli aspetti cruciali del DIU è la protezione degli operatori umanitari che prestano assistenza in aree di conflitto. La loro funzione è di vitale importanza per garantire l’assistenza a chi ne ha bisogno, ma sono vulnerabili a minacce dirette. Il DIU stabilisce che le organizzazioni umanitarie, come la Croce Rossa, devono essere trattate con imparzialità e protezione, affinché possano operare senza ostacoli. Gli operatori umanitari sono tutelati dal principio di neutralità, che impedisce loro di essere coinvolti nel conflitto, e devono essere protetti dal fuoco nemico, trattati come personale non combattente, e godere di immunità durante le missioni.

Sebbene spesso confusi, diritto umanitario e diritti umani sono distinti:

    • Il diritto umanitario si applica in tempo di conflitto e tutela principalmente civili e combattenti fuori combattimento, come prigionieri di guerra o feriti. Le norme di DIU, ad esempio, garantiscono protezione agli operatori umanitari in area di conflitto.
    • I diritti umani si applicano a tutti gli individui in ogni circostanza (in tempo di pace e guerra), mirando a garantire libertà fondamentali, come la libertà di espressione e il diritto alla vita. Si estendono oltre le situazioni di guerra, includendo anche aspetti economici, sociali e culturali, e comprendono la protezione di gruppi vulnerabili come bambini, anziani e migranti

In sintesi, mentre il diritto umanitario è specificamente focalizzato sulla limitazione delle sofferenze durante i conflitti armati e sulla protezione degli operatori umanitari, i diritti umani sono universali e devono essere rispettati in ogni contesto, sia in tempo di guerra che di pace. La protezione degli operatori umanitari rientra nell’ambito del diritto umanitario, che garantisce la loro sicurezza e neutralità durante le missioni di assistenza, salvaguardandoli da attacchi diretti e assicurando la loro capacità di operare in modo efficace.

Il diritto internazionale umanitario, quindi, svolge un ruolo cruciale nella tutela delle persone vulnerabili durante i conflitti, inclusi gli operatori umanitari, e si integra con la più ampia struttura dei diritti umani, mirando a garantire la dignità e la sicurezza di tutte le persone, indipendentemente dalle circostanze.

Le sfide che il personale delle Nazioni Unite e di altre entità che operano, spesso congiuntamente, nei paesi ove i conflitti esterni o interni generano un numero di vittime cosiddette collaterali sono innumerevoli. Da alcuni anni, a questo contesto di grandi sofferenze umane e distruzione dei territori o loro occupazione illegale (land grabbing) si sono aggiunte vere e proprie campagne di disinformazione e mistificazione come quella che ha colpito pesantemente l’agenzia UNRWA che opera in Palestina nei territori occupati. Questa agenzia ha avuto il coraggio di dichiarare, documentandone i dati, che dall’inizio dell’ottobre scorso il governo israeliano ha consentito l’accesso di soli 80 camion di aiuti umanitari contro i 460 di settembre 2024, ha pubblicato reports sullo stato dei luoghi, le circostanze di fatto e molto altro ancora. Le agenzie ONU, le ONG, i giornalisti ed i medici sono testimoni importanti in caso di conflitto, per questo motivo diventano scomodi quindi targets senza tregua.

Il 26 novembre u.s., come dicevo, si è tenuta a New York presso la sede mondiale delle Nazioni Unite, l’assemblea nr 70950 del consiglio di sicurezza sulla protezione del personale umanitario nei conflitti armati: l’intervento che ha avuto maggior impatto emotivo è stato quello di Gill Michaud Sottosegretario alla sicurezza delle Nazioni Unite.  Nel suo primo briefing reso al Consiglio di sicurezza dopo cinque anni dalla sua nomina, Gilles Michaud ha lanciato un appello urgente ed accorato per una maggiore protezione del personale delle Nazioni Unite e umanitario che affronta rischi crescenti nelle zone di conflitto.

“Questa sessione pubblica sottolinea la serietà con cui il Consiglio considera la sicurezza del personale delle Nazioni Unite e degli operatori umanitari, ma riflette anche la gravità delle sfide che dobbiamo affrontare,” Michaud ha dichiarato, sottolineando l’importanza cruciale dell’attuazione della risoluzione 2730 del Consiglio di sicurezza. “La loro sicurezza è un imperativo morale e essenziale per il successo dei mandati affidati a noi.”

Il discorso di Michaud riflette l’importanza della sicurezza del personale delle Nazioni Unite e degli operatori umanitari, sottolineando la gravità dell’attuale congiuntura. La Risoluzione 2730 del Consiglio di Sicurezza è cruciale per proteggere coloro che si dedicano ad aiutare le persone in difficoltà. La sicurezza non è solo un obbligo morale, ma è essenziale per il successo delle missioni dell’ONU.

Le operazioni ONU affrontano una crescente complessità per l’evolversi dell’insicurezza in ambienti ad alto rischio, affrontando minacce provenienti da attori non statali ma anche da stati. In questo momento il personale delle Nazioni Unite sta affrontando crisi multiple in una escalation senza precedenti di cui i seguenti sono solo alcuni esempi:

Gaza e Libano: distruzione di case e appartamenti e spostamenti forzati per molti operatori ONU che continuano a lavorare nonostante tutto, il conflitto ha incrementato il livello di rischio fino a rendere quasi impossibili le operazioni, con un impatto profondo anche psicologico sul personale locale e sulle loro famiglie.

Haiti: il conflitto urbano rende difficile e quasi impossibile fornire assistenza umanitaria; il personale impiegato, quasi tutto evacuato, assiste da tempo a guerre tra bande di inaudita violenza.

Somalia: il personale locale dell’ONU adotta tutte le precauzioni possibili per nascondere il proprio legame con le Nazioni Unite per timore di rappresaglie.

Circa la metà del personale ONU in zone di conflitto riporta gravi sintomi da stress post-traumatico condizione che richiede un veloce ed efficace turn-over non sempre possibile e le risorse per assistere il personale vittima di stress sono insufficienti.

A tutto ciò si aggiunge sul piano generale una forte preoccupazione per la mancata assunzione di responsabilità verso gli autori delle violenze al personale delle Nazioni Unite ed in particolare verso le donne.

Nel suo appello finale Michaud si rivolge a tutti gli stakeholders affinché il rischio per gli operatori umanitari non sia accettato come normale ed esorta il Consiglio di Sicurezza ad agire senza indugio verso i responsabili ai massimi livelli internazionali coinvolgendo tutti gli stakeholder credibili ed efficaci.

Infine, conclude, è necessario tradurre le parole in azioni concrete per proteggere chi porta speranza ed aiuto alle persone più vulnerabili.

L’argomento in questione è veramente complesso, l’autorevolezza delle Nazioni Unite e del suo Segretario Generale sono state recentemente e reiteratamente messe in discussione dai governi belligeranti, la Corte Internazionale di Giustizia non è ampiamente riconosciuta come dovrebbe e del resto fini giuristi francesi ci stanno spiegando – facendo finta di ignorare  il Trattato di Roma-  che le sentenze di colpevolezza hanno senso solo se applicate nei confronti di cittadini dei paesi che hanno  riconosciuto la Corte quale organo supremo imparziale e giudicante: ne consegue che  nè Putin né Nethanyau, e molti altri ancora possono dormire sonni tranquilli.

Invece noi non possiamo e né dobbiamo dormire, le nostre coscienze dovrebbero insorgere contro tutto questo orrore e mantenerci con gli occhi aperti, il pensiero obiettivo ed un cuore generoso.

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Mirna Caradonna

Mirna Caradonna

Mirna Caradonna è nata a Roma nel 1958 e fino al 2018 ha prestato servizio come Funzionario della Pubblica Sicurezza congedandosi con il grado di Dirigente Superiore della P.S. Nel corso di circa 40 anni di carriera ha ricoperto vari incarichi in Italia e all’Estero, ha svolto per lungo tempo il ruolo di Esperto Europeo per la Sicurezza per I..of S. realizzando numerose missioni nelle Americhe. Nel 2005 è stata insignita dell’onorificenza di Ufficiale della Repubblica per meriti di servizio. Ha svolto diverse attività di docenza nelle Scuole del Ministero dell’Interno e dell’Amministrazione Penitenziaria, presso le Università Statali della Capitale. Dal 2019 è consulente per la sicurezza presso l’agenzia WFP delle Nazioni Unite.

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