Ordinaria consuetudine diplomatica la telefonata della presidente del consiglio al Papa. Tramite, o come va di moda dire oggi “ponte”, tra l’Occidente a guida Trump e il Vaticano, per la location di eventuali nuove trattative di pace fra Russia e Ucraina.
Insomma, una cosa che, per rapidità di tempi e burocrazie, è facilitata dal Tevere che, sarà pure più largo, ma, per attraversarlo, il ponte sant’Angelo, fatto costruire dai papi e annesso al territorio italiano nel 1870, è sempre la via più breve.
Dunque, Meloni chiama, Leone risponde e Putin non butta giù il telefono…. ancora.
Altra fase “antipreparatoria” di una qualche procedura per far incontrare i nemici, in modo che verifichino se possono almeno, anche momentaneamente, cessare le attività ostili e cruente in corso.
Da parte italiana, nulla di più che un passa parola in andata e ritorno, per ovvia economia di discorso.
In sostanza, cioè, non accondiscendenza pedissequa ad un’iniziativa altrui, quella di Trump che per primo ha indicato il Vaticano accogliendo la disponibilità manifestata dal pontefice, ma cortesia istituzionale verso i partners.
Né portavoce, non richiesto peraltro, di un qualche disegno politico maturato oltre le sacre mura e come per riprendere quella politica, a lungo seguita, che considerava la Santa Sede elemento fondamentale della presenza internazionale dell’Italia.
Un disegno giobertiano che per decenni ha ispirato i governi italiani a guida democristiana, tanto da far dire al democristiano Francesco Cossiga, presidente della repubblica, che Giulio Andreotti, a lungo capo del governo ed alla guida degli Esteri e della Difesa, quasi fungeva da “segretario di stato permanente del vaticano nel mondo politico italiano”.
Considerazione pienamente condivisa negli Stati Uniti, per i quali, fin dai tempi della Liberazione – come testimoniano le carte dell’Archivio Segreto Vaticano secondo la lettura che ne ha fatto a Massimo Franco il prefetto emerito Sergio Pagano – l’interlocutore non era tanto De Gasperi, quanto Pio XII, il “vero viceré d’Italia in quella fase”, con il cardinale Spellman a fare da referente della Chiesa a Washington e da munifico sostegno al partito di maggioranza italiano.
Passando sempre, però, per il Vaticano e la sua banca, lo IOR con il conto n. 001 3 14774 C aperto e gestito dal presidente mons. Donato de Bonis, ma intestato alla Fondazione Cardinale Francis Spellman.
Anche a Mosca la particolare corrispondenza italo vaticana era ben nota e non solo per le grandi cose. Se ne accorse il presidente del consiglio Andreotti quando si sentì chiedere dal presidente dell’URSS, Nikolaj Podgorny, se poteva porgli “un quesito riservato”. Il governante italiano racconta “Temetti che volesse parlare della Nato, ma voleva invece sapere se si può fumare in udienza dal papa” dal quale l’indomani sarebbe stato ricevuto. Andreotti fece anche lui da ponte: “Trasmisi il desiderio e seppi poi che sulla scrivania del pontefice Podgorny trovò un portacenere”.
Ma le curiosità del capo dell’Unione Sovietica non finirono lì, perché chiese all’interlocutore “quante volte al mese il presidente del consiglio va a rapporto dal papa. Quando gli ho risposto che era fuori strada, si è quasi adontato”.
Piuttosto ci fu qualche ambasciatore americano che, saltando i ponti, pretendeva di tenere a rapporto direttamente il papa. Successe con Clara Boothe Luce, neo convertita al cattolicesimo e mandata a rappresentare gli USA in Italia nel 1953. L’ambasciatrice pretendeva, infatti, di dar lezioni al papa, il quale, dicono, una volta la interruppe ricordandole: “Signora, la prego di credere, sono cattolico anch’io”.
Nell’ottobre del 1962, quando una guerra atomica poteva scoppiare se le navi russe che portavano missili a Cuba – cioè sotto le finestre degli Stati Uniti – non avessero invertito la rotta, a passare sul ponte che unisce le due rive del Tevere, non furono i democristiani ma il medico di Palmiro Togliatti, capo dei Comunisti. Il professor Spallone, che curava anche importanti gesuiti de La Civiltà Cattolica e della Radio Vaticana, raccontò “di aver trasmesso a padre Messineo una richiesta sovietica per sollecitare dal papa Giovanni XXIII un messaggio di pace nel giro di 36 ore”.
Cosa che il papa, anche con altre motivazioni, fece a margine di un’udienza pubblica, contribuendo così ad agevolare le positive decisioni di Kennedy e Kruchev.
Dunque, ponti e pontefici per la pace. Sempreché il passaggio non sia soggetto a dazio.