Nel corso del suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha citato due illustri italiani: Prezzolini e Pisacane.
Non ci si sofferma sulla frase di Giuseppe Prezzolini (1882-1992): “Chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”. Analizzare gli aspetti del conservatorismo e della conservazione, pur senza voler richiamare il pensiero del grande filosofo e politologo Augusto Del Noce (1910-1989), diverrebbe un trattato e non un articolo.
Si preferisce esaminare, in estrema sintesi, la figura di Carlo Pisacane (1818-1857) e la frase citata: “ogni ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza”. Estrapolare frasi, più o meno celebri, dal contesto non sempre corrisponde al pensiero di chi le ha scritte. Lo ripetono sempre politici e giornalisti in dibattiti ed interviste, i primi più per difendersi o depistare.
Nel caso specifico le parole pronunciate si addicono a chiunque abbia senso morale ed etico in politica od in qualsiasi contesto nella vita. Piuttosto, chi ha suggerito la frase alla nostra Presidente del Consiglio conosce il pensiero del Pisacane?
Grave che si usino frasi di pensatori, seppur del XIX secolo, lontani anni luce dalle linee politiche attuali o da quelle che la destra-destra parlamentare ha nel proprio DNA profondo ma non troppo, forse sottopelle. Se declinato strumentalmente ancor peggio. Chissà se chi ha scritto e ha letto la frase ha mai aperto ed approfondito le pagine del libro di Carlo Pisacane: “La Rivoluzione”.
La frase completa, lasciata dall’eroe risorgimentale nel suo “testamento politico” alla giornalista inglese Jessie White, è: “combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d’Italia. Se non riesco disprezzo profondamente l’uomo ignobile e volgare che mi condannerà: se riesco apprezzerò assai poco i suoi applausi.
Ogni mia ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza e nell’animo di questi cari e generosi amici, che mi hanno recato il loro concorso e hanno diviso i battiti del mio cuore e le mie speranze. Se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all’Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire”.
Scrisse di credere nel socialismo, che identificava in due parole: “libertà e associazione”. Affermava che “le idee nascono dai fatti e non questi da quelle”, che era necessaria l’istruzione del popolo per giungere alla rivoluzione di tutto il Paese. Il pensiero del Pisacane è piuttosto articolato.
Qualche parola su di lui può aiutarci.
Tutti ricordano la poesia di Luigi Mercantini “La spigolatrice di Sapri” i cui primi ed ultimi versi recitano: “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”. Le rime rievocano la sfortunata spedizione di Carlo Pisacane che, sbarcato a Sapri per far insorgere i contadini in Campania e, poi in tutto il Meridione, venne fermato dalle truppe borboniche e dagli stessi contadini.
Carlo Pisacane si suicidò. Era figlio cadetto del Duca di San Giovanni; sin da giovanissimo, brillò negli studi militari e scolastici. Paggio del Re, Alfiere del 5° Reggimento, nel 1841 divenne Ufficiale effettivo del Genio. Nel febbraio 1847 abbandonò l’Esercito per amore di Enrichetta Di Lorenzo, moglie di suo cugino. Ripararono a Livorno, Londra, Parigi, Marsiglia.
Nel 1848 Pisacane tornò in Italia per combattere a Milano e, nel 1849, in difesa della Repubblica Romana. Dette prova di grandi capacità organizzative, strategiche ed originalità di vedute. Dopo l’esperienza repubblicana continuò le sue peregrinazioni in Europa.
A fine giugno 1857 dirottò un piroscafo di linea e si diresse a Ponza dove liberò 323 detenuti (solo una dozzina erano condannati per motivi politici). Le autorità borboniche diffusero la voce che una banda di delinquenti era in procinto di sbarcare e che severe sanzioni sarebbero state prese nei confronti di chi si fosse unito a loro.
Il primo luglio Pisacane ed i suoi, convinti di provocare un sollevamento popolare, si scontrarono con reparti borbonici subendo gravi perdite. Nella via di fuga verso il Cilento furono attaccati da quei contadini che volevano far insorgere. Pisacane, ferito, si uccise.
Mostrando similitudini con Marx (1810-1883) e, soprattutto, con Feuerbach (1804-1872), scriveva: ”la religione è un effetto dell’ignoranza e del terrore; l’uomo edifica ogni forza ignota che lo spaventa e personifica coteste forze dandogli proprie forme, le proprie passioni: quindi mutano i costumi e gli attributi de’ dei al cangiare de’ costumi de’ popoli”.
La religione è, quindi, una proiezione dei bisogni, dell’inconscio, dello sconosciuto che prendono forma in un ente superiore, “un sentimento di debolezza”. Sosteneva che le forze rivoluzionarie italiane erano permeate da una intrinseca debolezza per mancanza dell’apporto popolare e che l’unità italiana doveva realizzarsi attraverso una giustizia sociale, con le armi alla mano e con il socialismo.
Come Proudhon (1809-1865) credeva che le riforme dovevano procedere dal basso, cioè dal popolo, verso l’alto e non viceversa. Il desiderio di libertà, indipendenza e l’amore per la patria hanno vigore nei cuori della “intelligente gioventù che è sempre prima ad affrontare i perigli delle battaglie; ma essi soli non bastano”.
Egli affermava: “le rivoluzioni non si compiono se non col popolo”, masse che necessitavano di un “genio” capace di dirigere i movimenti e di entrare in dialettica con il popolo. Compiti particolari erano affidati, nella spinta rivoluzionaria, al “genio” od alla “capacità”, pur essendo contrario alla dittatura rivoluzionaria, ad ogni forma di delega popolare e di culto individuale.
Ciò nonostante, il Pisacane riservava all’eroe ed al genio creatore compiti eccezionali. “L’Italia trionferà quando il contadino cangerà, volontariamente, la marra col fucile; se, per questi, onore e patria sono parole che non hanno alcun significato, qualunque sia il risultamento della guerra, la servitù e la miseria lo aspettano”.
Si possono condividere o non condividere il pensiero ed alcune posizioni ideali ed utopiche del Pisacane – sempre inquadrandolo nel contesto storico, politico e culturale in cui visse – ma si potrà concordare nel definirlo un grande, un eroe, un insaziabile romantico ed idealista del nostro Risorgimento.
La sua figura è, sempre, permeata da una chiara visione strategica – più militare che politica, quest’ultima condizionata dall’utopismo, da profonda coerenza, rigore morale e sincero idealismo. Il suo socialismo utopista aveva venature più di anarchismo (ispirato dal pensiero di Proudhon) che di comunismo.
Tutto ciò lo condusse all’estremo sacrificio per costruire quella Nazione e realizzare quella libertà in cui fermamente credeva e che perseguì, senza successo, per tutta la vita, pagando con la morte il suo fervore.
Dopo questa brevissima e molto parziale esposizione del pensiero di Pisacane ci si domanda, come avrebbe detto Antonio Di Pietro: “ma che ci azzecca” l’eroe del Risorgimento con quanto professa la destra-destra italiana? O pensavano al primo Mussolini socialista? Più probabilmente hanno pescato una frase a caso.