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ISRAELE: IL BUIO OLTRE IL MURO

Luca Anedda di Luca Anedda
20/05/2024
in SCENARI
ISRAELE: IL BUIO OLTRE IL MURO
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TE LO LEGGO IO

Le parole di Jake Sullivan, attuale consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden, pronunciate nell’agosto del 2023, non sono state certo profetiche. Ebbe ad affermare che la situazione in Medio Oriente non era mai stata così tranquilla. A smentirlo in maniera clamorosamente terribile è arrivato l’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha causato 1139 morti, di cui 695 civili,36 bambini (20 sotto i 15 anni, di cui 10 uccisi da razzi, ed il più piccolo, Mila Cohen, di 10 mesi ucciso con un colpo di pistola), e 373 militari.

Nel 2005 Ariel Sharon, decise di rimuovere i coloni israeliani da Gaza, perché era troppo difficile garantirne la sicurezza. Fino al 7 Ottobre la situazione è stata mantenuta sotto controllo dagli Israeliani che hanno di fatto creato la più grande prigione a cielo aperto, controllando tutto ciò che poteva entrare o uscire da Gaza, quanta acqua, cibo o energia elettrica poteva essere distribuita e periodicamente, usando una infelice espressione si diceva che veniva “sfalciato il prato”, cioè venivano condotte operazioni all’interno di Gaza ( per lo più bombardamenti) che facevano qualche centinaia di morti, e che servivano a rafforzare il pieno controllo di Israele sulla striscia. 

Questa situazione era perfetta per mantenere un equilibrio tra le forze in campo; da una parte Israele che non vuole la soluzione dei due stati, e che addirittura finanziava Hamas per rafforzarne la posizione in Gaza perché anch’esso contrario alla possibilità di creare due stati, in contrapposizione alla posizione sostenuta dall’autorità palestinese, rappresentata da Abu Mazen, presidente della Palestina e che controlla la zona denominata West Bank.

La Grande Israele fino al 7 ottobre controllava tre zone: lo Stato di Israele vero e proprio (quello creatosi dopo il 1967), la zona di West Bank, dove i coloni Israeliani stanno avanzando rapidamente con la protezione dell’esercito, occupando sempre più territori e di fatto isolando i palestinesi, ed infine il terzo polo rappresentato da Gaza. Un equilibrio quasi perfetto.

Ma dopo il 7 ottobre tutto è crollato, e non è più chiaro come Israele vuole gestire la Grande Israele, cioè, dal Giordano al mare. Espressione cara anche ad Hamas che però di fatto non ha la benché minima possibilità di raggiungere questo obiettivo.

Quattro sono gli scenari:

  • Un grande Democratico Stato di Israele, che comprende i 7,5 milioni di Palestinesi più i 7,5 milioni di Israeliani ebrei. Appare evidente che questa è una soluzione impraticabile anche per motivi demografici: il rateo di natalità delle famiglie palestinesi è molto superiore a quello degli israeliani.
  • La soluzione dei due Stati: ed anche questa specialmente dopo il 7 ottobre appare impraticabile e nessuno degli attori in campo la vuole.
  • Mantenere una condizione di Apartheid, cioè di segregazione del popolo palestinese sotto uno stretto controllo militare. Circa il termine Apartheid ovviamente questo è rigettato con veemenza dagli Israeliani, ma viene sostenuto in tutti i rapporti delle maggiori organizzazioni umanitarie: da Amnesty International, a Human Rights Watch ed anche da B’Tselem la principale organizzazione israeliana per i diritti dell’uomo. A tal proposito è illuminante un suo rapporto del 12 gennaio del 2021 dal titolo: “Il sistema della supremazia ebraica dal Giordano al Mediterraneo: questo è Apartheid”
  • Effettuare una “pulizia etnica”, cioè, rimuovere i palestinesi da gaza e progressivamente da West Bank e ricollocarli da qualche altra parte: Egitto, Giordania, distribuiti sui cinque continenti… Decisamente una soluzione complicata, anche perché fino ad oggi Egitto e Giordania si sono dati indisponibili ad accogliere i profughi.

Ma dunque qual è il vero obiettivo di Israele? Il governo israeliano ripete come un mantra e i media occidentali fanno da cassa di risonanza compatta a questa narrativa che gli obiettivi sono due:

  • Sconfiggere Hamas
  • Liberare gli ostaggi

Tutti e due gli obiettivi dopo sette mesi di azioni militari massicce non sono stati raggiunti e appare del tutto evidente che non lo saranno nemmeno in futuro. Operazioni di questo tipo hanno semmai la capacità di aumentare il terrorismo e non di debellarlo. Anche la seconda guerra in Iraq che aveva come scopo dichiarato quello di schiacciare il terrorismo dell’11 settembre, di fatto ha creato i presupposti per la nascita di Isis. L’unica vera soluzione è la pulizia etnica, che già si è vista nel 1948 con la nascita dello Stato Ebraico e poi nel 1967.

Ma in realtà Netanyahu e il suo governo si muovono senza un piano preciso su come sarà il domani: chi governerà gaza? Chi vivrà in gaza? Una larga fetta della popolazione israeliana che va oltre il Likud vede di buon occhio la colonizzazione di Gaza e ci sono rendering di progetti con un porto maestoso e abitazioni di lusso. Ma i palestinesi al momento resistono. In condizioni terribili, ma resistono. Oltre il 60% delle costruzioni sono rase al suolo, l’80% delle strutture sanitarie sono state demolite: il cibo scarseggia e la fame sta minacciando la popolazione nel suo complesso. In sostanza per far funzionare il piano di pulizia etnica sarebbe necessario eliminare la gran parte della popolazione palestinese, rendere gaza completamente invivibile, affamare la popolazione.

È questo è genocidio? La corte di Giustizia Internazionale ha stabilito a gennaio che l’azione cominciata ad ottobre in Gaza potrebbe condurre al genocidio. Oggi il Sud Africa è tornato alla carica presso la stessa corte con nuove prove (fosse comuni, filmati, numeri) per richiedere un nuovo giudizio della Corte.

Quindi dopo sette mesi di bombardamenti, distruzione, numero di morti che ormai sono del tutto sottostimati, Israele sta perdendo su tutti i fronti:

  • Non hanno sconfitto Hamas
  • Non hanno liberato gli ostaggi
  • Non hanno effettuato la pulizia etnica di Gaza
  • Sono rientrati di nuovo in Gaza dopo il 2005, ma senza sapere cosa fare.

Inoltre, stanno progressivamente diventando un “pariah state”; Non tanto giudicati così dai governi occidentali che sostengono Israele in maniera piuttosto incisiva, intervenendo anche pesantemente nelle proteste spontanee nelle università, che ormai si sono allargate in tutti i paesi occidentali. Ma stato canaglia Israele lo sta diventando agli occhi dei comuni cittadini; il rating di disapprovazione per come Il governo Netanyahu sta conducendo le operazioni e cresciuto a dismisura. 

John Mearsheimer in suo recente intervento al Centre for Indipendent Studies in Australia, ha riportato che tra gli elettori di Biden, il 57% è convinto che Israele stia commettendo genocidio; il 27% non è sicuro che lo stia commettendo e solo il 15% si dice convinto che non lo stia commettendo. E questo per un presidente che punta ad essere rieletto è un grosso problema. Del resto, però la lobby israeliana guidata dalla formidabile AIPAC, è un altro peso specifico da tenere ben presente; in tutta questa triste e drammatica vicenda si fanno anche battute come quella che circola a Washington e che descrive l’interesse di Biden legato alla soluzione di due stati, ma non quelli in Medio Oriente ma bensì quelli del Michigan e Pennsylvania. Necessari per la sua rielezione.

Insomma, essere accusati di Genocidio è un grosso problema anche per Israele, che ha perso il suo mito che si era creata almeno fino agli anni 80, dove le varie guerre che lo avevano visto vincitore su un nemico molto più numeroso ne aveva fatto il Davide contro Golia e che ha affascinato tutti quelli della generazione di chi scrive e oltre. Le operazioni audaci come quella di Entebbe, dove le forze speciali liberarono tutti gli ostaggi (tranne una povera signora) ed in cui perse la vita il capo della spedizione, Yonatan Netanyahu che poi diventò eroe nazionale, fratello maggiore dell’attuale capo di governo.

Oppure il protocollo Golda Meyer che dopo la strage degli atleti ebrei alle olimpiadi di Monaco, prescrisse l’eliminazione sistematica di tutti coloro che avevano preso parte all’organizzazione, all’esecuzione dell’azione terroristica e dei suoi mandanti; Ci vollero 20 anni ma tutti tranne uno vennero eliminati. E ancora, la incredibile missione condotta da una squadriglia di F16 per bombardare e distruggere la centrale nucleare di Saddam Hussein a Bagdad, nel più totale riserbo e senza nemmeno avvisare Reagan della missione che passò alla storia come:” Operazione Babilonia”.

Ma tutta questa benevola immagine sembra essere svanita. E si badi bene che non è antisemitismo criticare i piani, o la mancanza di essi, di Israele. Tutt’altro. Anche se il rischio di rigurgiti di antisemitismo violento è sempre più un rischio reale. Mi pare vi siano fresche notizie in tal senso in queste ore.

La risposta di Netanyahu al 7 ottobre ha di fatto diminuito enormemente la sicurezza di Israele in quanto entità statuale; L’attacco di Hamas per quanto tragico e sanguinoso non è mai stato una minaccia per l’esistenza di Israele.

L’attacco sconsiderato all’ambasciata iraniana del 1° aprile è stato un goffo tentativo di infiammare tutta l’area, tentativo che gli Usa impegnati anche sul fronte ucraino hanno spento subito. Ci sono voluti 14 giorni prima che l’Iran rispondesse massicciamente; giorni questi, trascorsi per coordinarsi con gli Usa (non direttamente, ma via Oman) per far si che tutti gli attori fossero pronti per l’attacco. Molti Capi di Stato furono informati tra cui Erdogan. Il 14 aprile ci fu l’attacco. E tutti erano pronti. Gli Stati Uniti abbatterono oltre il 50% tra droni, missili cruise e missili balistici. 

Qualche cosa hanno fatto gli Inglesi ed il resto ci ha pensato Iron Dome. Ma non è stato, come qualcuno scherzosamente lo ha definito, un grazioso spettacolo pirotecnico. Al contrario. Ha plasticamente dimostrato che per difendersi anche da un attacco “telefonato” Israele ha bisogno di aiuto. E nonostante ciò 7 missili balistici sono passati, colpendo target non importanti e soprattutto, come concordato, senza colpire la popolazione. La risposta di Israele per la prima volta nella sua storia non è stata da “cane pazzo”. Ha dovuto accettare di bombardare un radar associato ad una batteria missili S300. Punto. La situazione nell’area è mutata a sfavore di Israele. Hezbollah può contare su oltre 150.000 tra missili e razzi e si trovano al confine con il Libano; Gli Huthi proprio in queste ore hanno colpito Israele con il primo missile diretto. L’Iran ha dimostrato che può saturare le difese di Iron Dome con multipli e devastanti attacchi.

Si calcola che mezzo milione di Israeliani stia abbandonando il paese e la Polonia è quella che ha ricevuto il maggior numero di applicazioni per la doppia cittadinanza.

Ecco perché oltre il Muro di Gaza, oltre alle rovine, ai morti ed alla fame, non si vede nessuno spiraglio di luce.

 Ed ancora una volta gli “adulti nella stanza” sembrano proprio non sapere che pesci prendere.

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Luca Anedda

Luca Anedda

Luca Anedda è nato a Cagliari il 24 Dicembre 1958. Ha conseguito la Maturità Scientifica presso la Scuola Militare Nunziatella negli anni 1973-1977. Entrato in Accademia Aeronautica con il Corso Turbine 3, ha conseguito il brevetto di pilota militare negli Stati Uniti (Columbus A.F.B. Mississippi), al termine del quale è inviato a frequentare il corso di “Fighter Lead in Training” presso la Base Aerea di Holloman in New Mexico (U.S.A.). Successivamente viene assegnato al 5to Stormo di Rimini dove consegue la “Combat Readiness” su velivolo F104 come pilota Caccia intercettore. Dopo aver frequentato la Scuola di Guerra Aerea di Firenze con il grado di Capitano, viene promosso Maggiore ed inviato come Istruttore presso la scuola di volo NATO di Sheppard A.F.B. negli Stati Uniti, dove ricopre vari incarichi di rilievo. Rientrato in Italia con il grado di Tenente Colonnello, nel 1994 ricopre prima il ruolo di Capo Ufficio Operazioni del 5to Stormo di Rimini, e successivamente quello di Comandante del 23mo Gruppo Caccia Intercettori. Nel 1996 entra in Alitalia e diventa Comandante su Velivolo MD80. In Alitalia ricopre anche il ruolo di Quality safety Auditor e svolge numerose audit presso Compagnie come Air China, Kenia Airways. Laureato in Scienze Aeronautiche, è diventato consulente presso G.E.D.A. società di aviazione e consulenza nel settore sia di ala fissa che rotante. Attualmente risiede in Inghilterra ed è Comandante esaminatore di volo presso Stobart air. Ha al suo attivo oltre 16.000 ore di volo di cui 3.000 su velivoli militari. Sposato con Tiziana, ha tre figli: Gabriella, Alessio e Isabella.

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