L’Italia, con la convalida della “Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere” è il quinto paese dell’Unione Europea ad aver ratificato il provvedimento che, per diventare esecutivo a tutti gli effetti, deve essere approvato da altri sei paesi europei (Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia). E’ naturale che si tratti di un notevole passo avanti per cercare di porre un limite anche al dilagante ed impressionante fenomeno del femminicidio: in Italia, secondo l’Istat, sono 120 le donne uccise nel 2023 (sono anche 22 nei primi 2 mesi e mezzo del 2024). Ora che si è fatto il primo passo, è necessario proseguire su questa strada e approvare le leggi necessarie per la rapida attuazione della Convenzione con la quale, come spiega il Presidente della Camera, “per la prima volta la violenza contro le donne viene incardinata nell’ambito della violazione dei diritti umani; ovvero dei diritti fondamentali della persona”. Pur approvando tali prese di coscienza del fenomeno “violenza di genere” per promuovere leggi adeguate alla sua prevenzione e contrasto, sono fermamente convinto che ciò non sia sufficiente per arrestare gli eventi nefasti che ammorbano anche la nostra società che si ritiene moderna e libera dal concetto imperante nei secoli scorsi dell’uomo dominante sulla donna, ma nei fatti e specialmente nell’ambito domestico e lavorativo, dimostra di considerare la donna a un livello inferiore e quindi sottoposta all’uomo. Da qui, proprio dalla mancata accettazione della parità dei sessi e dell’autodeterminazione della donna, conseguono atteggiamenti e a volte atti di violenza fisica e psicologica del maschio sulla femmina. Quindi il lavoro da fare sarà lungo e laborioso: è necessario far dimenticare all’umanità concetti filosofici e religiosi sedimentatisi nei secoli passati. Bisogna lavorare soprattutto in famiglia, nelle scuole, nelle comunità parrocchiali perché subentri appieno la parità sessuale e manifestazioni come il far studiare il figlio maschio e relegare la figlia a un ruolo domestico, considerare il bullismo un peccato veniale e altre piccole cose della vita giornaliera che creano disparità tra maschi e femmine, siano fermamente censurate senza possibilità di equivoco. Per quanto riguarda la famiglia, il compito maggiore l’ha proprio la donna, la madre che, essendo l’artefice principale dell’educazione dei figli, dovrà finalmente smetterla di creare percorsi preferenziali per il figlio maschio abituandolo a condividere equamente la collaborazione domestica preparandolo così alla vita. Dove sta scritto che i lavori di casa li debbano svolgere solo le donne? Purtroppo, anche dal punto di vista dell’attuazione della democrazia nelle istituzioni, è passato troppo poco tempo da quando le donne hanno acquisito i diritti paritari all’uomo e ciò si risente. Il diritto di voto alle donne fu introdotto nella legislazione internazionale nel 1948 quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In Italia per le politiche esse hanno votato per la prima volta il 28 maggio 1952. Come stabilito dall’articolo 21 “Chiunque ha il diritto di prendere parte al governo del proprio paese, direttamente o attraverso rappresentanti liberamente scelti. La volontà del popolo dovrà costituire la base dell’autorità di governo; questa sarà espressa mediante elezioni periodiche e genuine che si svolgeranno a suffragio universale e paritario e che saranno tenute mediante voto segreto o mediante procedure libere di voto equivalenti.” Il suffragio femminile viene anche esplicitamente considerato un diritto dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dalle Nazioni Unite nel 1979. La recente Convenzione di Istanbul rappresenta un ulteriore necessario passo avanti su questa strada. Anche la nostra Chiesa ha fatto passi da gigante su questo fronte, non è ancora giunta al traguardo, ma considerando da dove è partita, possiamo accontentarci. Il cammino è stato e credo che continuerà ad essere ancora lungo se pensiamo che solo da pochi anni, grazie al Concilio Vaticano II, sia sparito completamente anche il termine “sottomissione” all’uomo. Ora è necessario che le nuove generazioni metabolizzino il concetto cristiano, ignorato per secoli, dell’importanza che Gesù ha sempre dato alle donne. Papa Francesco l’ha recentemente ricordato: “E’ bello che le donne siano le prime testimoni della Risurrezione. Gli evangelisti hanno solo raccontato quello che le donne hanno visto. E’ un po’ la missione delle donne dare testimonianza ai loro figli e ai nipoti che Gesù è risorto. Questo è anche un segno della storicità dei racconti evangelici, giacché nel mondo ebraico le donne non avevano dignità di testimoni. E se i Vangeli glielo assegnano, vuol dire che il racconto è autentico. Mamme e donne, avanti con questa testimonianza”, ha scandito Bergoglio, ricordando come “le donne nella Chiesa e nel cammino di fede abbiano un ruolo particolare: aprire le porte al Signore”. “Comunicarlo – ha detto – ha bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore“. Quale omaggio migliore poteva fare alle donne? Voglio chiudere riportando cosa ne pensa Roberto Saviano della violenza sulle donne. “La violenza sulle donne è l’origine di ogni violenza perché è una violenza che nasce come espressione di possesso e di dominio. Si parla spesso di violenza fisica, di femminicidio, ma quando se ne parla, in molti casi, è già tardi. È una battaglia che si combatte su più fronti: da un lato dobbiamo abbattere gli stereotipi di genere che sono alla base della violenza, e dall’altro – non possiamo non cogliere l’universalità e l’importanza di questa battaglia – bisogna concepire la violenza come una forma di controllo che non riguarda solo il sesso di appartenenza, ma anche l’identità sessuale, il colore della pelle, l’etnia e la classe sociale. Pensiamo al mondo del lavoro. Oltre alla violenza domestica, infatti, c’è quella subita sul luogo di lavoro e che si manifesta non solo come molestia, ma anche quando si “invita” a scegliere tra famiglia e carriera, invito che si manifesta con un licenziamento o con una non assunzione. La pandemia, oltre ad aver triplicato il numero di femminicidi, ha anche radicalizzato l’inaccettabile iniquità nell’accesso delle donne al mondo del lavoro. La disoccupazione femminile è aumentata negli ultimi mesi e ha aggravato, soprattutto al Sud, una piaga che, se affrontata seriamente, sarebbe un volano non solo per il Sud ma per tutta l’Italia. Meno della metà delle donne lavora. Serve un dibattito culturale ed economico serio, e poi serve un piano strutturale di welfare, di crescita grazie allo sviluppo dell’occupazione femminile. La battaglia per i diritti delle donne è una battaglia culturale, ma anche politica, sociale ed economica, che riguarda tutti.”
L’amministrazione pubblica , in particolare quella locale di alcune grandi metropoli , non riuscendo spesso a far fronte a fenomeni gravosi, a discapito della gente onesta , (...
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