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INSIDE THE CROWD CONTROL

Carmelo Burgio di Carmelo Burgio
03/03/2024
in CITTADINI E MINORI
INSIDE THE CROWD CONTROL
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Sulla vicenda di Pisa ne ho lette e sentite. Dai proclami circa il fallimento quando si fa ricorso alle maniere forti, a farneticanti inni a manganelli santificati di un secolo fa. Magari può essere utile il punto di vista di chi c’è stato, leggere dall’interno il problema, sotto il profilo psicologico e normativo. Credo vi sia qualche banalità di troppo, scusabile se partorita da chi mai c’è stato, inutilmente contestabile se costruita su apodittica malafede bi-partisan.

Ho partecipato a servizi di ordine pubblico e mi son trovato contrapposto: in piazza a operai, contadini, allevatori, autotrasportatori, studenti, autonomi dei centri sociali, nostalgici di un passato che è meglio non torni e no-TAV; negli stadi a hooligans della perfida Albione, skin-heads e ultras; all’estero a serbi di Bosnia e musulmani in quel di Srebrenica e Nassiriyah.

Mi son perso il G-7 di Genova di cui so ciò che è stato riportato sui media.

Con autotrasportatori, operai, allevatori e contadini, oltre all’innata comprensione di categoria dovuta al fatto che il nostro personale proviene in gran parte da quella tipologia di famiglie, ho rilevato di massima disponibilità, rabbia, dolore e senso di responsabilità. Di massima non cercavano di massacrarci e li si ripagava di egual moneta cercando punti di convergenza, consapevoli che lottassero per un pezzo di pane, anche se animati a volte da disperazione. Qualcosa del genere disse Pasolini.

Con chi la metteva giù dura, in stridente contrapposizione basata sull’assunto noi fossimo dei nemici senza se e senza ma, c’era poco da fare. Sputi, insulti, cubetti di porfido, spranghe già pronte facevano capire che quelli fossero lì per provocare e picchiare. Come certe frange di tifosi che non volevano godere della partita di calcio, ma avevano eletto l’evento sportivo a scusa per mandare qualcuno di noi all’ospedale. O a far compagnia sul marmo dell’obitorio all’ispettore Raciti. Ricordo Chiomonte in Val di Susa, nel 2011, ove oltre ai NO-TAV c’erano un sacco di autonomi e qualche black-block: contammo 180 feriti contro meno di 10 manifestanti abbisognevoli di cure. I nostri feriti non erano da “2 gg. salvo complicazioni”, lo garantisco.

Onestamente spuntava un pizzico di paura nel cuore quando sapevi che saresti stato caricato da quel tipo di folla, che era lì con caschi e mazze. Speravi tutto andasse bene, che il dirigente o l’ufficiale riuscissero a trovare la quadra coi caporioni e che non finisse a mazzate, perché volevi tornare a casa.

Non ti passava di solito neanche per l’anticamera del cervello d’avventarti all’attacco per picchiare, consapevole, per esperienza, che una volta che si parte le si danno e le si prendono. E che un’immagine che t’immortala in un momento in cui hai perduto il controllo, si paga caro.

A Genova accadde anche dell’altro, non lo nego e la magistratura ha fatto il suo lavoro, ma in tante altre occasioni non è intervenuta contro chi portava l’uniforme, è evidente che costui abbia saputo comportarsi. Non credo equilibrato ergere il Genova a paradigma comportamentale, quindi.

Ciò non vuol dire che quando l’ordine di caricare venga impartito – sia esso rivolto ad andare a fondo, sia che si debba solo alleggerire la situazione, far arretrare la folla e guadagnare spazio – non si operi con decisione e si preferisca indossare panni da educanda. Perché in quelle mischie solo la rapidità d’azione consente di farcela, contro numeri di massima poderosi, più del distaccamento di tutori dell’ordine di cui si fa parte.

Un ulteriore aspetto. Nel 2010-2011, in qualità di comandante della 1^ Brigata Mobile Carabinieri, preposta prioritariamente ai servizi di OP, fui interessato agli studi per corazzare meglio il nostro militare, alla luce delle efficaci protezioni artigianali di autonomi e black-blocks, utilizzate in precedenza al G8 di Genova. Avevano imparato da noi a schierare combat-cameras per registrare ogni nostro eventuale eccesso e utilizzavano ottimi kits con sistema di sgancio rapido, da gettar via durante la fuga. Se il feroce manganellatore in uniforme giungeva a tiro, veniva ripreso dall’autonomo-combat-camera a picchiare un inerme, che fino ad un attimo prima era in grado di proteggersi e far male altrettanto efficacemente.

E ora un paio di riflessioni normative.

Se una manifestazione deve essere preavvisata, e rispettare il percorso altrettanto concordato, e ciò è da “stato di polizia”, perché quei partiti contrari a tale degenerazione, che pure a lungo hanno governato e son così sensibili alle manifestazioni studentesche, non hanno modificato la normativa, stabilendo che l’autorizzazione/informazione non fossero più necessarie? E che le forze di polizia debbano limitarsi a seguire a distanza il corteo e a prendere atto di eventuali devastazioni, senza – beninteso – effettuare riprese televisive e identificare, per non violare l’altrui privacy? L’unica spiegazione che ho, nella mia limitatezza di immaginazione, è che per semplici ragioni tecniche e giuridiche non si potesse fare come per la Legge “Fiano”, fondata sulla Costituzione della Repubblica, e vietare – o autorizzare indiscriminatamente – solo le manifestazioni di una parte. In sintesi, anche a loro credo che quella disciplina facesse comodo, e lo si è visto con NO-vax e portuali a Trieste.

Tocco infine un tasto sensibile: il numero identificativo su caschi e giubbe di agenti e carabinieri. Perché no? Però l’organizzatore della manifestazione – nell’articolato che disporrà tale identificabilità – dovrà assumersi la responsabilità di registrare tutti i manifestanti e consegnare a ciascuno di essi fratino numerato, garantendo analoga riconoscibilità, atteso che mi par diffusa l’abitudine al foulard, cappuccio e al casco da parte di chi in piazza ci va con idee piuttosto chiare su quel che vuol fare.

Le inosservanze – singole e collettive – non devono essere però punite con le risibili pene italiche, né dare spazio per fantasiose giustificazioni circa “estranei sbarcati da Marte”, tipo quelle dei liceali devastatori di recente memoria. L’organizzatore paghi i danni di chi non è stato identificato, e non per garantire il poliziotto o il carabiniere sia chiaro, che hanno l’assicurazione dello Stato. Mi piacerebbe che proprietari di auto e negozi devastati dai cortei possano essere ristorati. 

 

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Carmelo Burgio

Carmelo Burgio

Dopo 4 anni presso la Scuola Militare Nunziatella e 2 in Accademia Militare, è stato nominato sottotenente dell’Arma. Ha quindi diviso la propria esperienza militare fra carabinieri paracadutisti – 11 anni, oltre 700 lanci, tutti gli incarichi di comando dal plotone al reggimento – e Arma territoriale – oltre 16 anni fra Sardegna, Trapani, Caserta, Messina e Roma – divertendosi molto. Sfuggito al rischio di farsi internare in uno Stato Maggiore, ove a dispetto di Scuola di Guerra e Istituto Alti Studi della Difesa, ha trascorso solo 3 anni, è stato colpito da limiti d’età – senza riportare troppi danni – a giugno del 2022. Non riesce a spiegarsi come abbia potuto concludere il percorso reggendo il comando delle Scuole dell’Arma, dell’Interregionale Culqualber (Sicilia e Calabria) e Podgora (Lazio, Toscana, Umbria, Marche e Sardegna). Ad ogni modo è accaduto e cosa fatta capo ha. Ha preso parte alle missioni all’estero in Libano, Bosnia-Erzegovina, Albania, Iraq e Afghanistan. Decorato di Croce dell’Ordine Militare d’Italia, med. di Bronzo al Valore dell’Arma, Croce d’Oro al Merito dell’Arma, 2 Croci di Bronzo al Merito dell’Esercito e paccottiglia varia, anche d’oltralpe e d’oltre Atlantico, è riuscito ad evitare cavalierati maltesi, sansepolcristi, vaticani primi e secondi, gregoriani, accontentandosi di quello repubblicano italiano. Scrive per il Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri e per la rivista “Secondo Risorgimento” dell’Associazione Naz. Combattenti Forze Armate della Guerra di Liberazione. Ha redatto una trilogia – meno famosa di altre – sulla specialità dei Carabinieri Paracadutisti, e un saggio su Nassiriyah. Inoltre ha già dato alle stampe qualcosa su un paio di brigate di fanteria, sugli alpini bresciani, sui loro dirimpettai valtellinesi, e sui misconosciuti Dragoni di Sardegna, veri antenati dei Carabinieri Reali. Si ritiene un uomo libero di dire – nel rispetto del codice penale e del prossimo altrettanto rispettoso – ciò che gli aggrada, senza etichetta, che del resto risulterebbe difficile ad appiccicarsi a causa della propria superficie rugosa e accidentata.

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