Siamo tutti, in un modo o nell’altro, prigionieri di un corpo.
Magari bello, utile agli scopi e alla socialità. Oppure meno bello e che si percepisce come una presenza estranea, goffa e di cui imbarazzarsi.
Un naso adunco, qualche chilo di troppo, le gambe un po’ storte, le orecchie a sventola, le “tette” poco sviluppate o troppo soggette alla forza di gravità. Tutti difetti che generano in alcuni frustrazione, rabbia e insicurezza, al punto da spingere agli estremi rimedi del chirurgo, come se tutto il tuo essere dipendesse dalla correzione di quel singolo difetto e come se rimuovendolo si potesse andare all’arrembaggio della vita senza più ostacoli.
Poi c’è chi, magari per colpa di un cromosoma sbagliato, vive dentro un corpo che davvero non gli appartiene. Un corpo che non gli corrisponde perché non può governarlo, non può dominarlo, non può curarlo o cambiarlo attraverso un bisturi o con un’alimentazione controllata e un personal trainer.
Qualcuno che, purtroppo, è immerso nella vita come se fosse avvolto da centinaia di molle tese, senza potersi muovere a meno di compiere uno sforzo immane e senza poter sperare di diventare una farfalla, anche se dentro lo è.
Viene quasi spontaneo fare un parallelismo tra il dolore delle atroci ferite riportate dai soldati nei campi di battaglia e quello delle persone con gravi disabilità. Come i soldati feriti in guerra, queste persone affrontano sfide quotidiane che richiedono coraggio e determinazione. Ma, purtroppo, anche la loro lotta è stata resa ancora più difficile da anni di tagli alla spesa per l’assistenza, vere e proprie amputazioni delle risorse necessarie a garantire aiuti volti a lenire le sofferenze e aumentare la dignità delle incolpevoli vittime di una malattia invalidante. È qui che il volontariato diventa un faro di speranza.
Organizzazioni come la Croce Rossa Italiana, fondata partendo dall’esperienza diretta di Henry Dunant proprio durante una battaglia, quella di Solferino e San Martino nel 1859, giocano un ruolo vitale nel fornire supporto e solidarietà alle persone in situazioni di difficoltà.
Come le volontarie e i volontari che si presero cura dei soldati feriti sul campo di battaglia, i volontari della Croce Rossa forniscono assistenza sanitaria e psicologica alle persone bisognose di cure e soprattutto di attenzione non giudicante. Queste volontarie e volontari portano speranza e conforto proprio come i soccorritori in zona di guerra, creando un legame profondo con la comunità ed esprimendo empatia e aiuto in modo tangibile, magari poggiando una mano sulla schiena di un genitore, quella schiena presa a frustate da una malattia e da tutte le volte che qualcuno si è voltato dall’altra parte per non vedere, con indifferenza arrogante.
Genitori che vivono la disgrazia di un figlio come fosse qualcosa cui rassegnarsi, quasi con vergogna e che vedono talmente lontani i loro diritti da pensare che siano dei privilegi. Famiglie abbandonate. Messe in secca dal mare di una solidarietà che si ritira quando si tratta di condividere sentimenti come il dolore, la paura, la disperazione.
In questo contesto, le parole del poeta Rabindranath Tagore risuonano ancora più profondamente: “La farfalla non conta gli anni, ma gli istanti.” Queste parole illuminano il cuore del volontariato. Ogni istante dedicato a migliorare la vita di un altro essere umano è un istante prezioso.
Mentre si tenta di trovare soluzioni a livello istituzionale, il volontariato rappresenta una forza unitaria che può portare un cambiamento positivo nella società, trasformando la troppo diffusa indifferenza in compassione e solidarietà, nella direzione di un mondo più inclusivo e umano.
Perché un diritto tolto a un malato è un oltraggio all’umanità, un’offesa alla decenza, una vergogna per noi cosiddetti “sani”, ma in realtà così “diversa-mente abili”. Loro, con quegli sguardi da bambini indifesi, continuano a guardarci sperando nella nostra “guarigione” dalla peggiore delle malattie: l’indifferenza.