Uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Trump è stato il raggiungimento della Pace in Ucraina in 24 ore. Le 24 ore sono trascorse da un pezzo e segni di pace non se ne vedono. Nemmeno all’orizzonte.
Il Generale Kellogg è stato incaricato di costruire il percorso di pace. Le prime dichiarazioni che ha rilasciato, e che poi sono state riprese in parte dallo stesso Trump, non sono incoraggianti. L’idea di mettere un tetto al prezzo del petrolio, a 45 dollari, per mettere alle corde l’economia russa è un maldestro tentativo di voler mettere pressione a Putin. Ma così maldestro, che ancora una volta è lecito domandarsi se chi sta nella stanza dei bottoni sappia di cosa stia parlando. Il prezzo del barile di petrolio non è stabilito dagli Stati Uniti, né dall’Europa. È l’Opec+ che fa largamente il prezzo, e nell’Opec+ guarda caso c’è anche la Russia. Inoltre, anche ammesso che gli USA riuscissero a convincere i paesi produttori ad abbassare il prezzo (ripeto cosa assolutamente impossibile a cominciare dall’Arabia Saudita che basa il suo bilancio statale sulla vendita del petrolio), 45 dollari a barile metterebbero in ginocchio gli stessi produttori americani: sia coloro che trivellano sia quelli che estraggono con il fracking, procedimento che ha portato l’America ad essere autonoma ed esportatrice di petrolio, ma che è molto costoso. Una dichiarazione del genere è dunque un bluff, e anche chi non è un giocatore di poker sa quali siano le conseguenze quando un bluff viene scoperto: si perde la faccia, e per un negoziatore che deve ancora cominciare a negoziare, non è una buona partenza.
L’altra idea non molto felice è quella di mettere un lasso temporale alle trattative: 100 giorni che guarda caso andrebbero a cadere proprio vicino ad una data molto importante per la Russia e per Putin: il 9 maggio, la giornata della vittoria contro il Nazismo. Ed anche qui c’è un grossolano errore di valutazione che non aiuterà Trump: l’ultima cosa che Putin vuole fare è mischiare l’operazione speciale in Ucraina con la vittoria su Hitler. Sono due cose profondamente diverse che hanno un sottile filo conduttore, la glorificazione del nazismo da parte di una parte politica ucraina, ma non sufficiente a farne un legame con una data così significativa per la Russia. Anche qui si vede una scarsa conoscenza della sensibilità “dell’altro”, tipica di una certa parte della classe dirigente americana.
Putin ha più volte affermato (anche in una recente intervista) che è pronto a negoziare, e le sue condizioni sono note:
– L’Ucraina non dovrà mai far parte della Nato (non 10 o 20 anni: mai)
– La Crimea più i 4 oblast conquistati (quasi tutti) dovranno rimanere in mano russa.
– Il negoziato non potrà avvenire con Zelensky poiché il suo mandato è scaduto a maggio del 2024 e dunque non è più legalmente in carica. Inoltre, dovrà essere rimosso il divieto, stabilito per legge dal Parlamento ucraino, di negoziare con Putin
Putin non ha fretta. È Trump che ha investito molto del suo peso politico su questa trattativa per arrivare ad una soluzione. Non Putin.
Le ripetute sanzioni alla Russia (credo siamo arrivati al sedicesimo pacchetto) non hanno “spezzato le reni” all’economia russa. In realtà stanno avendo un devastante effetto sull’economia dell’Unione Europea, a cominciare dal settore energetico dove la sostituzione tra gas russo e LNG americano e qatarino ha voluto dire moltiplicare per 5 il prezzo del gas. Il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, non perde occasione per segnalare come il rincaro del 43% del prezzo dell’energia per l’industria italiana (e per le famiglie) non è assolutamente sostenibile e sta portando al collasso interi comparti industriali. In Europa la situazione non è molto diversa a cominciare dalla Germania. Ed è per questo che in queste ore sta serpeggiando la notizia della volontà di riattivare in parte le forniture di gas russo; magari con discrezione e senza troppo clamore, per non perdere completamente la faccia.
Ma dunque come si fa a fare la pace?
Intanto Trump dovrebbe essere svelto a rimuovere chi non si dimostra all’altezza del compito: Kellogg è uno di questi.
Alla fine, le strade percorribili rimangono due.
La Prima opzione.
Intavolare trattative dirette Trump-Putin
Scavallare completamente l’Ucraina e l’Europa.
Mediare con Putin mettendo cose reali sul piatto, come ad esempio la riduzione delle sanzioni e il reintegro nel sistema bancario SWIFT, cose che, come detto, non sarebbero negative nemmeno per l’Europa. La questione è se Trump abbia la forza politica di scavallare la potente lobby delle armi che della prolungata guerra in Ucraina ne fa un lucroso business e il Deep State neocon americano, pur sempre forte, anche se l’amministrazione è cambiata, e che tanto ha investito in questa guerra.
L’Europa in questo scenario è un ostacolo minore. Il ritiro dall’Afghanistan dopo venti anni di guerra e una montagna di dollari spesi fu deciso con una trattativa tra gli USA ed i Talebani a Doha, senza nemmeno avvisare gli alleati europei che pure avevano inviato truppe e speso miliardi di euro; la ignominiosa e precipitosa ritirata forse qualcuno la ricorderà. Dico forse, perché la pubblica opinione tende facilmente a dimenticare e non si domanda più di tanto il perché di certe folli avventure, e perché siano mai nate. Trump dopo un periodo (breve) di critiche potrebbe portare a casa la vittoria personale di aver chiuso una guerra che non ha senso e che il popolo americano con il suo voto di novembre ha dimostrato di non volere. Non vuole che i soldi americani continuino a fluire nelle tasche di molti corrotti a Kiev; non interessa finanziare per il 90%la stampa Ucraina che fino ad oggi ha fatto un ottimo lavoro nel propagandare una parte della storia e coprire il malumore, ed uso un eufemismo, della popolazione Ucraina, che, se può fugge all’estero, senz’altro non vi fa ritorno, e prega che i propri figli riescano a fuggire al violento reclutamento dell’esercito di Zelensky.
Putin non ha fretta.
Sa che l’Ucraina è come un malato terminale attaccato ai macchinari in assenza dei quali terminerebbe di vivere. E questo forse lo scopo dell’annunciata interruzione di invio di armi e soldi a Kiev da parte di Trump per mettere pressione ai vertici ucraini. Non stupisce che Budanov, il capo dell’intelligence Ucraina, un tempo fedelissimo di Zelensky, abbia pubblicamente detto che, se le cose continueranno così, tra sei mesi l’Ucraina non ci sarà più. Strana dichiarazione da parte di uno che fino a qualche mese fa parlava della vittoria Ucraina come un fatto certo ed ineluttabile.
La Seconda opzione.
Trump potrebbe resuscitare le trattative di Istanbul e lasciare che se ne occupassero i Russi e gli Ucraini. Soluzione questa molto più lunga come tempi e politicamente ingarbugliata, poiché una soluzione positiva potrebbe avere tanti nemici e sabotatori. Ma è una soluzione che vedrebbe un minore coinvolgimento diretto di Trump.
Alla fine, rimane il forte desiderio di disimpegno americano da questa vicenda; è vero gli USA hanno investito molto, si parla di oltre 180 miliardi di dollari; In Afghanistan la Cia aveva costituito circa sei basi, in Iraq altrettante; in Ucraina si stima ce ne siano più di 20. E questo sta ad indicare quanto forte fosse il desiderio americano di usare l’Ucraina come un potente grimaldello per sabotare la Russia di Putin. Ma sappiamo quanto velocemente la Casa Bianca possa cambiare rotta e idea. Anche dopo tanti anni e tante risorse spese. Vietnam, Afghanistan, Iraq, Libia sono lì a testimoniarlo.