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TIM? ACRONIMO DI TUTTO IN MALORA?

di Umberto Rapetto
22/11/2021
in EDITORIALI
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Il fondo Kohlberg Kravis Roberts & Co. non ha fama di risanatore. KKR suona per le aziende in crisi respiratoria come KKK per una persona di colore – non necessariamente asmatica per par condicio – rimasta sola nella notte in una strada di campagna dell’Alabama ai “bei tempi” degli incappucciati bianchi.

Il fondo americano è tristemente conosciuto per la sua abilità nella vivisezione delle imprese. I suoi esperti sono capaci di estrarre dal corpo moribondo di una realtà industriale le parti ancora vitali e di spremerne le potenzialità per rientrare dell’investimento effettuato. Poco importa se i brandelli inutilizzabili finiscono nel cassonetto dell’indifferenziata: l’acquisizione di una società che non rende ed è piena di debiti non è opera filantropica ma si configura come manovra propedeutica al macabro rituale della rapida mutilazione dei cespiti disponibili per far cassa.

TIM le cui azioni sono quotate 35 centesimi (negli ultimi dieci anni c’è chi ricorda quando, già deprezzate, valevano oltre un euro e 31) vale 7 miliardi e mezzo di euro e ha “in pancia” una rete stimata 11 miliardi. Secondo i più ottimisti l’infrastruttura potrebbe “pesare” anche 15 miliardi, ma questa valutazione molto favorevole sarebbe appena sufficiente a ripianare l’esposizione negativa: TIM infatti avrebbe debiti per 22 miliardi e mezzo….

Lo sbarco degli americani – a differenza di quello liberatore nell’epilogo del secondo conflitto mondiale – non rassicura. L’offerta “amichevole” di 50 centesimi per azione (quasi una volta e mezzo quel che si potrebbe spuntare con le vie ordinarie) soddisfa soltanto chi si vuole disfare di un titolo che non ritrova la scala per risalire, ma mortifica chi ha creduto e sperato nel colosso italiano delle telecomunicazioni. Le partecipazioni straniere finora avevano avuto un ingombro tollerabile e garantito una discreta indipendenza: la manovra in corso, invece, segna la resa senza condizioni su un fronte strategico che si sarebbe dovuto presidiare in maniera drasticamente diversa.

Si parla di far ricorso al Golden Power. ovvero a quell’insieme di norme mirate a  salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale. Il pensare di arginare la Caporetto invocando i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, è tristemente l’ultima carta da giocare, l’extrema ratio.

Probabilmente ci si poteva pensare prima di trovarsi con l’acqua alla gola in una palude che da troppo tempo è nota a tutti. Forse l’intervento doveva riguardare il volante e non la benzina di questa macchina fondamentale.

E’ indispensabile mettere alla guida chi ha davvero capacità di rimettere in carreggiata l’azienda e forse si deve approfittare del serbatoio vuoto per mettersi a lato della strada e decidere il da farsi. 

Si chieda conto a chi ha fatto errori madornali, a chi ha pensato di salvare un gigante tecnologico da anni in pessime condizioni di salute somministrando DAZN quasi fosse un farmaco rivitalizzante miracoloso, a chi non ha avuto idee degne di essere considerate tali, a chi si è preoccupato di percepire faraonici premi di produzione per risultati che non ci sono stati, a chi è pronto ad accettare senza batter ciglio o provare vergogna buonuscite epocali che fanno pensare “chissà quanto hanno dato ad Alarico quando se ne è andato da Roma…”

Sarebbe necessaria una rivisitazione industriale, capace di valorizzare non i chilometri di fibra ottica ma le tantissime persone qualificate che sono la vera ossatura di una azienda “telefonica”. Sarebbe opportuna una revisione organizzativa, una ridefinizione degli obiettivi, un programma di azioni capaci di far tirar fuori le unghie ad una “tigre” che invece giace in un angolo della gabbia del mercato.

Un intervento meramente finanziario è un intervento finanziario, basato sull’aurea regola di generare profitto qualunque ne sia la dinamica. Il primo costo (ed è fin troppo evidente) da sfoltire è quello del personale. Si parlerà di “ottimizzazione” e si manderanno a casa decine di migliaia di lavoratori, ottenendo istantaneamente una riduzione delle spese che agli investitori piace sempre tanto.

Non serve un blitz assistenziale Alitalia-style: il contribuente ha diritto a non essere coinvolto in operazioni fallimentari di cui poi deve sostenere l’onere.

La politica, che è sempre pronta a piazzare qualcuno dei suoi o a condizionare le scelte dei privati di spicco, trovi qualcuno capace di tirare fuori dalle sabbie mobili TIM. Non lo prenda dalle agende consultate finora, non lo cerchi tra gli amici e gli amici degli amici.

Si individui un moderno Noè che sappia far sopravvivere allo tsunami in arrivo.

Si pensi alle tante e certo troppe famiglie che hanno ben chiaro il traballare del posto di lavoro.

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Umberto Rapetto

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