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SE “CIRO L’IMMORTALE” TI APPARE IN SOGNO O MAGARI TI MANDA UNA MAIL…

di Umberto Rapetto
01/05/2020
in EDITORIALI
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Può capitare che un personaggio del crimine diventi il protagonista di esperienze oniriche. Un piatto di peperoni ingurgitato la sera e mal digerito oppure la visione di un filmato televisivo un po’ efferato possono disturbare il sonno anche delle persone maggiormente imperturbabili.

Dormo come una pietra e solitamente faccio sogni psichedelicamente goliardici che la mattina mi piace raccontare all’ora di colazione e che a volte diventano argomento di divertita conversazione con gli amici.

Per anni ho sognato di essere ancora nelle fiamme gialle, impegnato in rocambolesche operazioni di servizio (un po’ diverse dal multare il gelataio), pronto ad entrare in azione con i miei ragazzi del Gruppo Anticrimine Tecnologico (quel GAT che catturò gli hacker entrati nei sistemi del Pentagono e della NASA e che si rese protagonista di imprese epocali), concentrato in indagini appassionanti con una squadra composta da quelli che sono sempre stati i più abili detective informatici del mondo. La spiegazione è il trauma di aver lasciato prima di compiere 53 anni la missione (lavoro è un termine inadatto, mestiere ancor peggio) che svolgevo per questo Paese, ferita che non si è mai rimarginata, lesione che mi ha segnato nel più profondo del cuore e che non perdonerò mai a chi mi ha costretto a lasciare la Guardia di Finanza e soprattutto il reparto che comandavo.

Se è difficile, quindi, che il mio “palinsesto” notturno contempli incubi o scene angoscianti, le esperienze di tipo investigativo hanno continuato ad affiancare il mio “giocare” ad altre cose.

No, non mi è apparso il bravissimo Marco D’Amore, che in Gomorra ha interpretato “Ciro”, né è stato lui a contattarmi per narrare intrighi dai torbidi contorni. Non so nemmeno se chi mi ha raccontato queste cose ha scritto nottetempo, ma è certo che quella mail ha aperto un panorama non confortante sull’orizzonte dell’imprenditoria digitale.

Quel mondo ovattato e policromo – dove tutti sorridono e si abbracciano fraternamente, in cui “award” e premi sono il sincero riconoscimento delle paradisiache condizioni di lavoro e riflettono la nobiltà degli intenti imprenditoriali – ho iniziato a pensare non corrisponda alle descrizioni di certe pagine patinate.

Oggi è il Primo Maggio, giorno sacro per chi lavora, per chi ha perso il proprio posto, per chi un impiego lo rincorre, per chi non si rassegna alla precarietà, per chi soffre in silenzio angherie e mortificazioni.

È proprio oggi che mi viene da parlare di quel che ho appena ricevuto, prendendo tra l’altro spunto dal meraviglioso messaggio in bottiglia inviato da Marco Dotti qualche giorno fa.

Nel fatato mondo delle app, le “esche dolci” come le chiama Dotti, non c’è alcuna fiabesca armonia. Mobbing e prevaricazioni sono all’ordine del giorno e certe strategie assumono addirittura nomi più o meno roboanti.

Provate ad immaginare l’“Operazione Paranoia” o l’“Operazione Fring”. La prima, così definita all’interno di una rinomata software house, era costituita dall’adozione di una serie di iniziative volte ad impedire che qualcuno potesse mai associare il brand di facciata alle molteplici aziende di copertura intestate ad amici e parenti. Le stesse “esche” assumevano in questo caso nomi differenti a seconda di chi poneva in vendita la medesima applicazione, così da ingannare chi frugava negli store e magari cercava una alternativa ad una app che non lo aveva soddisfatto, così da rivendere (se del caso con piccole variazioni di look) lo stesso programmino allo sventurato di turno. La massimizzazione dei profitti forse impone anche questo.

La “Operazione Fring”, invece, è il piano strutturato di donazioni a onlus, ad associazioni benefiche e a fondazioni per “fluidificare” i rapporti con l’esterno e creare una immagine favorevole dell’azienda. Il nome scelto in questo caso ricalcava quello di un personaggio della serie televisiva Breaking Bad, il Gustavo “Gus” Fring che, per tener buone le forze di polizia e le autorità locali e per eludere i controlli sul suo traffico di droga. non esitava a spargere elargizioni in ogni dove.

Ma quel che spaventa maggiormente è il regime quotidiano di determinate industrie.

Le vessazioni in certi dorati ambienti arrivano addirittura a prendere la forma della sottoscrizione di impegni, di accettazione di regole assurde, di assicurazione di poter garantire performance lavorative che avrebbero fatto impallidire gli schiavi che in Egitto hanno eretto le piramidi.

Non pensiamo allo sviluppatore di app come ad un sereno ragazzotto con la tazza di caffè americano accanto alla tastiera che digita istruzioni con il soddisfatto brio di chi cavalca le onde con il surf. Il giovanotto è monitorato severamente dal datore di lavoro e dai suoi stessi colleghi, in ossequio a quel brutale “mors tua vita mea” che ispira la competizione tra chi non vuole essere mandato a casa….

Mi fermo qui. Ho letto pagine e pagine di un grido disperato. Vorrei adesso che si restasse un minuto in silenzio, giusto il tempo di capire se è questo il mondo che vogliamo.

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Umberto Rapetto

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