Importante è che si sia aperto uno spiraglio. Nell’antico protocollo della Curia romana vigeva l’istituto delle riunioni “antipreparatorie”. Ad Istambul, al momento, sono iniziate queste. Uno spiraglio per iniziare a cercare di guardarsi negli occhi. Per ora, non quelli di chi decide, ma un faccia a faccia tra nemici c’è stato comunque. Quelli sul campo e quelli che dagli spalti han fatto il tifo e assicurato i rifornimenti.
Assente Putin, assente la Nato, perché i tempi della storia non sono regolati sui fusi di internet.Scarsi i risultati, sia di sostanza che di metodo. Ma perché disperare? In fondo, si è trattato di una prima trasferta in terreno neutrale, mentre su quelli d’origine si continuava ad organizzarsi per ammazzarsi. Come ormai da tre anni. Potevano, perciò, esser mature le condizioni per mea culpa e saluti cordiali? Dunque, spiraglio e solo esso, ma da tenere aperto.
Lontani certamente i tempi della Perestroika di un predecessore di Putin, Michail Gorbaciov, che minava alle fondamenta il muro di Berlino e con esso l’impero russo-sovietico. Metà degli anni ’80. Plauso dalla comunità internazionale, ma non era la politica estera il tallone d’Achille dell’uomo che fu coronato Premio Nobel.
Piuttosto, una volta archiviata la dottrina Breznev sulla sovranità limitata dei paesi controllati dall’URSS, il problema era il contenimento degli inevitabili sussulti dei nazionalismi periferici. Cominciarono, infatti, Estonia, Lettonia, Lituania e, subito appresso, le altre nazioni satelliti. Gorbaciov non resse e, crollato il muro di Berlino, cadde anche lui.
Anni dopo, un uomo del KGB di quei tempi andrà a guidare il governo e poi tutto quel che rimane della Federazione Russa. Wladimir Putin, che – sembra un secolo fa, ma era all’inizio di questo millennio – a Bush, il presidente degli Stati Uniti che vagheggiava “la Russia alleata della Nato” , rispondeva: “Questo accordo è la base per la nuova architettura del ventunesimo secolo”. D’estate venina in Italia a villa Certosa, e, a palazzo Grazioli – racconta Vittorio Feltri – Berlusconi gli presentava perfino Dudù, il cagnolino di famiglia, col quale insieme giocavano negli austeri corridoi di quella residenza nobiliare.
Tre anni fa, però, invadeva l’Ucraina. Nel 2002 aveva vinto le elezioni per la Duma con un partito che si chiamava “Russia Unita” e i Russi dicono che “sopra la Russia c’è Mosca. Sopra Mosca c’è il Cremlino. Sopra il Cremlino c’è soltanto il cielo”. Santa Madre Russia.
Indro Montanelli rimproverò a Gorbaciov di “non capire che la demolizione di un sistema totalitario è un’operazione ancora più difficile della sua costruzione, perché non si può compiere senza tenerne saldamente in mano tutti i poteri di controllo e di intervento”.
Un “errore” che Putin ha voluto evitare assumendo i poteri che oggi chiamiamo “autocratici” per riaffermare il ruolo della Russia sotto il grande cielo della politica, del potere a livello mondiale. Dell’ultima parola, la sua, da dire soltanto ad un suo omologo, in cospetto del mondo e non sul ristretto palcoscenico di una repubblica che fu sovietica. Cioè, dell’impero che vuole ricomporre dopo la diaspora.
Quell’impero sovietico circondato dalla cortina di ferro per separarlo dall’Occidente A Berlino, addirittura dal muro, costruito per ordine di Nikita Kruscev. Il quale fu, pure lui, a suo modo innovatore rispetto alla dittatura di Stalin che smascherò pubblicamente (Lenin perdonava i nemici, Stalin ammazzava gli amici). Avviò, anticipando Gorbaciov, una sua glasnot, tentativi di coesistenza pacifica all’estero, destanilizzazione all’interno.
L’Ungheria pensò allora che fosse arrivato il momento dell’indipendenza e si sa come finì. La coesistenza pacifica non impedì, poi, il rischio di deflagrazione atomica a Cuba, nel 1962, quando Kruscev dovette ordinare il dietrofront alle navi con i missili da istallare di fronte agli USA. I “destalinizzati” gli fecero pagare questo ed altro con il voltafaccia del presidium del Comitato Centrale che lo costrinse alle dimissioni.
D’altronde aveva consapevolezza della situazione se al giornalista americano Norman Cousins aveva confidato: “Ci sono atteggiamenti radicati nel tempo. La gente non è più staliniana, ma continua a vivere con le abitudini di terrore ed oppressione, anche senza saperlo”.
Questo più di sessant’anni fa. Di acqua, da allora, ne ha portata la Moscova, ma le abitudini non scorrono via con altrettanta rapidità. Putin lo sa e, da ex KGB, conosce bene come si comanda a quelle latitudini. Quanto importante sia il dominio dei tempi se si rivuole sotto il cielo del Cremlino i popoli che dai tempi di Gorbaciov si sono dispersi e, così, rifare grande la Russia.
Il muro nella città di Berlino non fu costruito per la paura del regime di allora che il nemico entrasse nel quadrato assegnato al controllo russo. Piuttosto, che qualcuno ne uscisse e questo, per Putin, pare ora esser il momento del rientro nella casa madre.
Nelle riunioni di Istanbul e in quelle che verranno – se verranno – le mappe distese difronte ai belligeranti all’apparenza sembrano base per annessioni. Invece, potranno e – secondo i russi dovranno – certificare i confini di un impero che vuole ricomporsi per confermare al mondo che comunque Mosca è la “Terza Roma”. Potente come la prima. Dialogante con la seconda che proprio ad Istambul, l’antica Costantinopoli, aveva il suo centro motore. Forte come quella che in un regime economico e politico sconfessato dalla storia, aveva con milioni di morti sconfitto il nazismo e con tanti altri si era imposta nelle forme della dittatura comunista.
La Terza Roma che, con l’autocrazia putiniana, vuol avere sopra “soltanto il cielo”.