Nel mondo multipolare e instabile che stiamo vivendo, lo spazio non è più soltanto un orizzonte tecnologico o scientifico: è la nuova geografia del potere. Le orbite basse, le costellazioni di satelliti, la raccolta e gestione dei dati dallo spazio rappresentano ormai la vera infrastruttura critica su cui poggiano la sicurezza, il commercio e le alleanze del XXI secolo. In questo scenario, l’Italia è chiamata a scegliere: restare spettatrice marginale, compressa tra USA, Cina e Russia, oppure alzare lo sguardo e tornare a essere un attore strategico. L’Italia, scrive Limes, è oggi una cerniera: importante ma non decisiva, fedele all’ombrello NATO ma tentata da aperture cinesi, piena di eccellenze industriali ma priva di una regia geopolitica. Tuttavia, proprio questa ambiguità può diventare un punto di forza. Perché l’Italia ha una lunga tradizione di mediazione tra mondi diversi, e oggi può giocare questa dote non solo nella diplomazia, ma anche nell’economia dello spazio. Non serve costruire razzi più grandi di quelli cinesi o satelliti più numerosi di quelli americani. Serve costruire intelligenza orbitale italiana. Possiamo diventare leader nella gestione dei dati satellitari per l’agricoltura, la logistica, la protezione ambientale. Possiamo sviluppare software per la cybersecurity spaziale, creare componentistica avanzata, entrare nei consorzi europei che contano, offrire soluzioni alle PMI che vorranno innovare il proprio business guardando le rotte spaziali invece di quelle marittime. Lo spazio sarà il nuovo Mediterraneo: affollato, conteso, critico. In un mondo dove anche la pace è frammentata, dove il commercio segue logiche geopolitiche e dove la concorrenza è meno economica e più strategica, lo spazio rappresenta il prossimo territorio da presidiare. Per l’Italia non è un’opzione: è un dovere. Non per ambizione imperiale, ma per sopravvivenza industriale. Chi oggi investe nello spazio costruisce influenza sulla Terra. Chi oggi produce dati, sensori e modelli predittivi nello spazio, domani controllerà le reti, i flussi, le decisioni. Se vogliamo che il Made in Italy continui a valere nei prossimi trent’anni, dobbiamo legarlo alla nuova infrastruttura orbitale globale. E se vogliamo restare un Paese capace di dire la sua nel Mediterraneo, in Europa, nel commercio e nella cultura, dobbiamo tornare a fare ciò che ci riesce meglio: trasformare le sfide in occasioni di rinascimento. Anche nello spazio
Palantír. Ricordatevi di questo nome. Si tratta di un’azienda statunitense. Non è chiaro cosa faccia, ma lo fa molto bene...
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