A taluni può esser parsa una rivelazione, forse perché inaspettata da uno come Mario Draghi, quando lo statista e banchiere ha definito “illusione evaporata” la fiducia che la “dimensione economica” (450 milioni di consumatori) “portasse con sé potere geopolitico”.
La cosa era invece ben presente già sessantotto anni fa, quando il parlamento italiano autorizzò la ratifica dei Trattati di Roma con cui venivano istituite la Comunità Economica Europea e quella per l’energia atomica.
Per il relatore di Maggioranza, Ludovico Montini (fratello del futuro Paolo VI), infatti, negli accordi “si rivela la sproporzione fra l’integrazione economica e quella che vorremmo fosse possibile nel futuro verso una federazione che questi strumenti giuridico-costituzionali disegnano ed esprimono, ma che al tempo stesso attenuano”.
Così, sessantotto anni fa e l’Europa, da allora, per difendere “democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità”, come specifica Draghi, si è affidata soprattutto al libero scambio, all’apertura dei mercati, alle regole relative, che oggi paiono sostituite dalla ripresa delle sovranità nazionali, dal prevalere della legge del più forte. Sia che questo avvenga con i dazi imposti, sia con la necessità del ritorno al riarmo dopo quasi un secolo di pace.
Nel frattempo, alla “sproporzione fra integrazione economica e istituzionale”- e, nonostante l’elezione diretta del parlamento europeo che però non è depositario di sovranità unitaria perché il potere rimane, sostanzialmente, in capo ai governi – non ha fatto riscontro il necessario irrobustimento della “gracile” strumentazione organizzativa comunitaria.
”Strumentini”, si disse allora, nel 1957, quando, nonostante la maggior parte dei governi nazionali fossero guidati da europeisti convinti, Schman, Guy de Mollet, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Paul Henry Spaak, gli sforzi di tanti autorevoli federalisti per creare una unione politica fallirono.
Come abortì, una ventina di anni fa, il tentativo di approvare una Costituzione Europea.
La sola carta di un mercato avanzato ed una considerevole platea di consumatori attivi non basta a rendere effettiva – al di là delle dichiarazioni e delle esibizioni di parata – la capacità di incidere sulle vicende geo politiche planetarie.
Nelle quali, gli attori, appaiono mossi più da difficoltà ed urgenze interne, che dai principi ai quali gli stati europei continuano ad ispirare, comunque, le proprie politiche sul terreno della cooperazione e della pace.
USA e Russia si incontrano, ma quella Ucraina, una delle tante paci che la “terra” attende, probabilmente è stata solo un corollario di un’agenda dei colloqui tra giganti apparsi tuttavia col fiato corto, se non coi piedi d’argilla. Solo che si consideri il ruolo della Cina che sorregge lo sforzo bellico di Mosca e più in generale, anche attraverso il sistema delle triangolazioni commerciali, accompagna un alleato afflitto da un’inflazione che neanche la “vittoria” sul campo potrà fermare. Anzi.
Gli Stati Uniti, con l’enorme debito pubblico e gli interessi da pagare su esso, una situazione economica non facile che, dicono in molti, la spericolata politica dei dazi potrebbe aggravare con i conseguenti rischi di inflazione, disoccupazione e svalutazione del dollaro. E in questa situazione quanto spazio l’export della Cina dovrà sacrificare?
Un quadro, dunque, nel quale, con i paradigmi commerciali cui l’Europa si è affidata, gli egoismi sovranistici dei grandi players planetari, il tema guerra che negli impegni degli stati è diventato centrale perché la pace è comunque considerata in pericolo, gli stati del vecchio continente saranno in grado di darsi un sistema istituzionale robusto? Così che quel quid novi rappresentato dalla CEE del 1957 e dall’U.E. oggi diventi soggetto politico a pieno titolo giuridico ed operativo?
Draghi, consapevole che “politico” presuppone consenso, ha spronato i giovani che lo ascoltavano a Rimini (ma non solo loro) a “far sentire la voce”. Lo chiese anche sessantotto anni fa, il parlamento tutto. Compresi quelli che votarono contro la ratifica dei Trattati. Nella sua relazione, la Minoranza, infatti, auspicò “un’intesa tra coloro che vogliono l’Europa, tra tutte le forze politiche ed economiche”.
Uno “stringiamci a coorte”, ma stavolta per passare definitivamente dalla dimensione dei singoli stati all’Europa federale.
”Non esiste alternativa diversa – diceva De Gasperi – :”O prosperare nella libertà salvaguardata dall’Unione o perire nella schiavitù”. Prospettiva, visti gli avvenimenti, non proprio teorica.












