Non si chiamavano Volenterosi, ma che Francia, Germania, Inghilterra si riunissero senza l’Italia era accaduto altre volte. Per esempio, all’inizio del gennaio 1979, quando il governo di Roma fu escluso dal vertice di Guadalupa tra il tedesco Schimdt, il premier britannico Callaghan, il francese Giscard D’Estaing con il presidente USA Jimmy Carter. All’ordine del giorno il potenziamento della difesa missilistica nucleare nei paesi dell’Europa Occidentale.
Il Consiglio NATO approvò e nella dirigenza sovietica si scatenò il timore di un preventivo attacco, in una situazione che papa Francesco descriverà con l’immagine dei cani che vanno ad abbaiare sotto le finestre dei russi.
Delusa dall’esclusione dal Vertice, l’Italia volle, comunque, ritagliarsi un ruolo coerente, nonostante tutto, con la scelta atlantica.
Due cose interessanti ha raccontato in proposito il presidente del consiglio di allora, Francesco Cossiga. La prima, di carattere internazionale, relativa a un“massiccio intervento finanziario dell’URSS a favore dei movimenti per la pace laici e cattolici”. La seconda, di sapore più domestico. Secondo la tradizione non scritta degli anni dell’antico bipolarismo imperfetto, la soluzione fu trovata “con un accordo riservato fra il premier e il segretario del PCI, suo cugino”: opposizione in Parlamento “senza però suscitare movimenti di piazza” e rinuncia al voto di fiducia.
Il governo fu coerente con le scelte atlantiche e lo stesso farà, nel 1983, Craxi quando, in materia, l’Italia svolse un ruolo di mediazione tra USA e URSS, ma, falliti i colloqui di Ginevra, i cruise a Comiso divennero operativi nella primavera del 1984.
La costante coerenza con la scelta occidentale rimase pilastro della politica estera italiana anche dopo la caduta del muro di Berlino e il comunista Luciano Violante dirà: “Dopo il disastro in cui sono precipitati i Paesi del sistema sovietico, è stato certamente un bene che l’Italia sia rimasta nell’orbita filo occidentale”. Già il suo segretario, Enrico Berlinguer, nel 1976, aveva dichiarato a Giampaolo Pansa: “Voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico. Mi sento più sicuro stando di qua”.
Tale collocazione, se ancora oggi ha le sue concrete e irrinunciabili motivazioni, continua a far discutere sul modo in cui “starci”, per non confondere, in particolare verso gli Stati Uniti, l’amicizia con l’accondiscendenza e, nemmeno – soprattutto in tempi di originalità trumpiane – sottovalutandoli.
Ci sono stati anche nel passato momenti difficili. Sigonella, nel 1985: quando il governo stava per ordinare l’arresto dei marines sotto un aereo il cui arrivo e soprattutto la partenza erano pericolosamente contestati.
7 ottobre 1985: un radioamatore svedese captava un messaggio dalla nave italiana Achille Lauro (500 passeggeri e 330 membri dell’equipaggio) che parlava di dirottamento da parte di un Commando palestinese e la notizia viene confermata.
Arafat, capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, se ne dice ignaro e mette a disposizione un suo uomo. La Siria è disposta ad accogliere la nave, ma l’approdo non è condiviso dagli USA che temono la fuga dei dirottatori. Subito dopo viene ucciso il passeggero statunitense Leon Klinghoffer, ma se ne avrà notizia solo dopo che la nave, grazie ai buoni uffici dell’inviato di Arafat, arriva a Porto Said e i quattro dirottatori, arresisi, saranno fatti salire su un aereo diretto a Sigonella.
Il governo italiano ne vuole l’estradizione informando il presidente Reagan.
Dagli USA decollano allora aerei che, intercettato il velivolo con i dirottatori a bordo, atterrano anche loro a Sigonella e i marines circondano i militari italiani di guardia all’aereo stesso, pretendendo la consegna dei terroristi.
Craxi, presidente del consiglio, d’accordo con Andreotti ministro degli esteri, si oppone agli USA eccependone il difetto di competenza, dato che i reati erano stati commessi su territorio, la nave Achille Lauro, italiano. Inoltre, l’aereo sul quale si trovano i dirottatori è egiziano e in missione governativa. Gode quindi di extraterritorialità. L’Egitto li consegna ai fini giudiziari, ma nega il consenso a far sbarcare i due palestinesi che li accompagnano e che considera, dal punto di vista diplomatico “ospiti”.
Non la pensano così a Washington e, dopo che l’ospite Abu Abbas ed il suo compagno trasbordano a Ciampino su un aereo iugoslavo, la vicenda pare chiusa e l’Achille Lauro è autorizzata a ripartire per proseguire la crociera.
Governo e media americani, infatti, attaccano l’Italia come paese di “imbelli, irriconoscenti, favoreggiatori di terroristi” e un chiarimento giuridico fatto stilare da Andreotti d’accordo col segretario di stato Schultz non viene accettato dalla Casa Bianca.
Il governo, in parlamento, conferma le ragioni dell’Italia e Craxi è pronto alle dimissioni (i repubblicani di Spadolini non avevano approvato).
Poi, accade che Reagan scrive a Craxi “una adeguata lettera. L’America ci doveva delle scuse e le avemmo”, commenterà Andreotti e in un incontro a Bruxelles, il 23 ottobre, “l’incidente viene dichiarato chiuso”.
Qualcuno pensò che esso potesse aver trovato interessati sia chi, dall’interno del fronte palestinese, si opponeva alla politica di dialogo e “disgelo” avviata da Arafat, sia quanti non avevano gradito la recente posizione di ferma condanna da parte del governo italiano del bombardamento, ad opera di Israele, sul quartier generale dell’OLP a Tunisi.
Nel paese di Guicciardini sono d’uso le parole “forse…peraltro”. Un linguaggio utile a meglio chiarie la complessità delle cose, ma non facile da accettare dove prevalgono le semplificazioni pragmatiche. Come quelle di Trump.